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L'arma
segreta dell'Arsenale
di Pietro Baracchetti
Il posto migliore per vivere? L'inferno. A patto che si tratti
dell'inferno dell'Arsenale di Venezia, unico sopravvissuto dei
tre alloggi - gli altri erano il paradiso e il purgatorio -
dove risiedevano i tre nobili lagunari chiamati a gestire la
più straordinaria industria marinara che l'uomo abbia
saputo creare. All'inferno dell'Arsenale di Venezia vive, con
la moglie signora Laura, assolutamente certo di trovarsi nel
luogo più affascinante del pianeta - l'ammiraglio Paolo
Pagnottella, comandante di quello che lui stesso definisce la
culla della marina militare, il museo naturale dell'arte di
solcare il mare, ma anche una straordinaria nave capace di far
viaggiare nel tempo, attraverso nove secoli di storia, chi oltrepassa
le due torri di accesso.
Una leggendaria "nave del tempo" sulla quale si sono
imbarcati Dante Alighieri che visitò l'Arsenale nel 1312
(da qui i nomi paradiso, purgatorio e inferno assegnati agli
alloggi dei tre provveditori); Leonardo da Vinci, che volle
vedere con i propri occhi questa meravigliosa città nel
1500; Enrico III re di Polonia e futuro re di Francia, nel 1574.
E, ancora, Galileo Galilei, a più riprese fra il 1605
e il 1609, Federico IV di Svezia nel 1709, l'imperatore Francesco
Giuseppe nel 1864
"E forse geni come Leonardo sono ripartiti convinti d'aver
visto qualcosa di unico e irripetibile", racconta l'ammiraglio
Pagnottella, comandante dell'istituto di studi militari marittimi
aperto il 1° gennaio 2000 e del presidio della Marina di
Venezia.
"L'Arsenale è la più grande testimonianza
di ciò che ha rappresentato la straordinaria potenza
di Venezia, una città che ha saputo dominare la terra
dall'acqua, che ha saputo capire che il potere economico passava
attraverso il commercio delle materie prime e quel commercio
- e quindi quel potere - ha saputo difenderlo con le sue navi
da guerra. Costruite all'Arsenale".
Seduto nell'inferno di questa città nella città,
luogo senza confini e senza tempo, l'ammiraglio Pagnottella
sfoglia antichi documenti che conserva gelosamente. Brandelli
di storia dell'Arsenale che il comandante vuol far diventare
il più grande affascinante museo della storia delle costruzioni
navali.
"Perché nessun altro luogo", spiega, "può
catturare, affascinare, abbagliare più di questo, può
regalare le emozioni che ogni angolo di queste costruzioni sa
emanare.
Perché nessun altro luogo può raccontare ai visitatori
la grande tradizione marinara italiana, far sentire orgogliosi
i nostri figli di ciò che i loro antenati hanno saputo
fare. Per questo dall'anno scorso ho fatto aprire l'arsenale
alle scuole, per questo spero che davvero si trovi il modo di
trasformare l'Arsenale in un museo vivo, capace di far rivivere
lo splendore che qui ha pulsato per secoli. Pensi solo alla
magia di questi luoghi: spazi affidati ai più grandi
architetti, come Nicolò Sammicheli che nel 1547 costruì
la nuova casa del Bucintoro, l'imbarcazione per eccellenza della
RepubblicaVeneta. Luoghi dove gli arsenalotti - gli operai dell'arsenale
che nel momento di massimo splendore arrivarono ad essere 16.000
come risulta da una testimonianza datata 1423 - dovevano trascorrere
anche 14, 15, 16 ore al giorno. Spazi pensati per vivere quelle
lunghe ore nella consapevolezza di non poter trovare posto più
bello per lavorare, luoghi che non avevano nulla da invidiare
a un luogo di culto. Vede, gli arsenalotti sono stati un esempio
unico di quella che io chiamo aristocrazia operaia.
Persone
legate indissolubilmente alla fedeltà, alla conservazione
dei grandi segreti custoditi fra quelle mura, come quello per
la costruzione e la fusione dei cannoni.
Non per nulla erano arsenalotti i guardiani della zecca, a loro
era affidato l'incarico di scortare il doge.
Vuol sapere dove nasce il mito dell'Arsenale? Credo dai suoi
segreti, dall'imponente cinta muraria realizzata per custodire
quei misteri.
Milioni di persone, nel corso dei secoli si sono probabilmente
domandate cosa poteva avvenire di così fantastico oltre
quelle mura. e nulla più di una domanda alla quale è
molto difficile trovare risposta può contribuire a creare
e rafforzare il mito. Ma l'Arsenale" continua l'ammiraglio
Pagnottella, "è stato anche una magia industriale:
la rivoluzione inglese non è stata certo una novità
per Venezia, dove alla fine del 1400 un messo spagnolo restò
talmente stupefatto dalla precisione con cui funzionavano le
catene di montaggio - perché tali di fatto erano - da
inviare una fantastica relazione di patria, raccontando come,
in un sol giorno, potesse essere costruita un'intera galea.
Oppure pensi alle donne: in tempi in cui non contavano nulla
in tutto il mondo, qui lavoravano (tessevano le leggendarie
corde in un edificio lungo 318 metri con 84 colonne) e venivano
regolarmente pagate. Esistono altri arsenali al mondo, penso
per esempio a quello di Barcellona, ma nessuno ha il fascino
di quello di Venezia.
Per capire il perché basta entrarci e provare le emozioni
che si vivono ammirando i vecchi squeri, i cantieri navali,
le costruzioni dove venivano realizzate le corde o veniva fusa
l'artiglieria. Oppure guardando la gru a vapore Amstrong con
movimenti idraulici ad acqua, costruita oltre un secolo, che
si specchia nel bacino, o, ancora, entrando nella vecchia centrale
elettrica di inizio secolo.
Tutto questo vuol dire davvero salire su una straordinaria macchina
- pardon nave - del tempo. E se esce dall'Arsenale e alzerà
lo sguardo al cielo scoprirà che questo luogo vive in
tutta la città.
Osservi bene le cupole di Venezia: scoprirà che sono
scafi di navi rovesciate.
E' il marchio inconfondibile e indelebile dell'Arsenale".
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L'ARSENALE
DI VENEZIA
di Achille Rastelli
"Quale
nell´arzanà de` Viniziani
bolle d´inverno la tenace pece
a rimpalmare i legni lor non sani
chè navicar non ponno; in quella vece
chi fa suo legno nuovo e chi ristoppa
le coste a quel che più viaggi fece;
chi ribatte da proda e chi da poppa;
altri fa remi e altri volge sarte
chi terzeruolo e artimon rintoppa;
tal non per foco, ma per divina arte,
bollia là giuso una pegola spessa
che ´nvischiava la ripa d´ogni parte."
(Dante, Divina Commedia, Inferno, XXI, vv. 7-18)
Dopo Dante
Alighieri, con il passare del tempo l'interesse per quella antica
struttura denominata "Arsenale di Venezia" è
cresciuto anche presso un più vasto pubblico, non limitato
agli specialisti di storia navale o dell'archeologia industriale.
Il motivo di tale attrattiva deriva dalla scoperta dell'imponenza
di questa antica struttura e da una sempre maggiore consapevolezza
della sua importanza storica.
Vediamo di ricordarne brevemente, appunto, la storia.
In primo luogo, l'avventura della Repubblica di San Marco è
strettamente legata all'Arsenale; era una repubblica marinara
e commerciale e, quindi, la sua forza doveva necessariamente basarsi
sulle navi. Per Venezia era una necessità vitale e bisognava
attrezzarsi in modo di avere una flotta sempre disponibile, della
migliore qualità e nel tempi più rapido. Per ottenere
questo risultato non bastava basarsi solo sulla iniziativa dei
singoli armatori, era obbligatorio creare una struttura complessa
e controllata dallo Stato, tale che garantisse rapidamente la
costruzione, la manutenzione, l'allestimento e l'armamento di
una grande flotta, sia mercantile sia militare. La nave standard
scelta fu quella che nel Medioevo era la principale unità
navigante ne Mediterraneo, cioè la galea.
La disposizione dei macchinari e la suddivisione del lavoro ricalcavano,
già allora, quella odierna organizzata in fasi, dalla preparazione
del legname alle operazioni di rifinitura. Gli arsenali rappresentavano
un caso di industria accentrata tra più imponenti nel panorama
dell'economia preindustriale. L'esempio più famoso è
quello dell'Arsenale di Venezia, oltre a quello dell'Impero ottomano
di Istanbul.
Questo tipo di sistema era il risultato finale di un processo
che si affermerà su larga scala solo in età moderna,
in relazione all'utilizzo di impianti più sofisticati e
in seguito alla rivoluzione industriale. A Venezia la sua importanza
era legata principalmente a due ordini di motivi: la superficie
ricoperta, si estendeva infatti su un'area di quarantasei ettari,
e le persone che vi erano coinvolte, raggiungendo mediamente in
periodi di piena attività produttiva la quota di 1500-2000
lavoratori al giorno ( per un picco di 4.500-5.000 persone iscritte
nel libro delle maestranze) su una popolazione, quella veneziana,
di circa 100.000 abitanti. Fondato nei primi anni del XII secolo
dal Doge Ordelaffo Falier, l'Arsenale di Venezia traeva le sue
radici nel bisogno di dare grande sviluppo alla cantieristica.
La scelta della sua ubicazione non fu difficile, in quanto, per
esigenze di difesa da eventuali attacchi nemici, si ritenne che
la zona più idonea fosse quella compresa tra S. Pietro
di Castello e la Parrocchia di S. Giovanni in Bragora (la Darsena
Vecchia), anche perché qui si trovava il punto di arrivo
del legname del Cadore. All'inizio del XIV secolo, in seguito
ad un aumento delle esigenze navali della città, fu incorporato
il "Lago di S. Daniele" e costruito l'Arsenale nuovo
(la Darsena Nuova), raggiungendo così un'estensione di
138.600 mq, ma é dal 1473, con la caduta di Bisanzio (1453)
e la minaccia turca che furono apportati gli ultimi ampliamenti,
con la realizzazione di case residenziali esterne per i lavoratori,
di "forni pubblici" e di magazzini per i cereali (la
Darsena Nuovissima). Una delle varie aggiunte fatte all'Arsenale
fu una nuova area detta "Tana", termine probabilmente
derivante da "Tanai", antico nome del fiume Don. Alla
foce di questo fiume, sul Mar d'Azov, i Veneziani avevano degli
importanti empori commerciali dai quali facevano provenire la
canapa per i cordami e la calafatura degli scafi. Proprio in questo
reparto, infatti, venivano prodotte industrialmente le corde (preziose
nell'antichità) al più basso costo possibile, con
il vantaggio di rimanere indipendenti da terzi in caso di guerra
e con il vantaggio di mantenere i capitali in movimento acquistando
la materia prima all'estero come "cliente di riguardo".
L'assenza di intermediari garantiva un buon risparmio alla Repubblica,
e contemporaneamente consentiva di vendere alle navi straniere
in transito le funi ad un prezzo superiore a quello dei concorrenti,
ma sempre conveniente per l'assenza di scarti, grazie al fatto
che queste uscivano dalla corderia tramite dei fori, per poi essere
tagliate della misura richiesta anziché essere confezionate
in lunghezze standard .
Tutto ciò diede vita a un nuovo tessuto urbano che costituisce
il nucleo dell'attuale sestiere di Castello. Gli artigiani che
prestavano lavoro nella zona erano definiti arsenalotti; questi
uomini appartenevano ad una grande varietà di corporazioni,
dal momento che tante erano le arti necessarie e i tipi di manodopera
qualificata richiesta nel campo delle costruzioni navali, ma non
erano semplici artigiani, formavano una vera e propria comunità.
Un numero compreso tra 1500 e 2000 mastri lavorava ogni giorno
per la costruzione di galee, portando avanti ogni singola fase
del lavoro, dalla costruzione della chiglia, fino alla dotazione
finale di cordami e armamenti per l'imbarcazione finita. Si lavorava
sei ore al giorno in inverno e dodici in estate, solo con la luce
del sole, per evitare di ricorrere alla luce artificiale delle
lucerne, troppo rischiose in un ambiente tanto ricco di legname.
Le maggiori categorie di lavoratori impiegate erano i carpentieri
navali, o marangoni, addetti alla costruzione dello scafo, i calafati
incaricati di assicurare l'impermeabilità dell'imbarcazione
e i fabbricanti di remi. Queste tre categorie da sole annoveravano
tra le loro fila il 75% dei lavoratori. Il restante 25% era formato
da artigiani provvisori dell'Arsenale: riparatori, trasportatori
di merci, fabbri, muratori, eccetera
tutti lavoranti che
non ricoprivano ruoli specifici nella costruzione delle imbarcazioni.
Si curava la produzione in ogni minimo particolare, sviluppando
una linea di montaggio ad integrazione verticale, avanguardia
delle tecniche di produzione sviluppatesi in seguito. La standardizzazione
della produzione, l'intercambiabilità delle parti, la rigida
struttura gerarchica e la ferrea disciplina che vigeva all'interno
del cantiere, permettevano all'officina di sfornare anche una
nave completa ogni giorno. Successivamente nacquero anche fonderie
per cannoni e archibugi.
Ma come si era formata una tanto efficiente forza lavoro? Come
si era arrivati ad un livello d'organizzazione e coordinamento
tale da permettere a quasi 2000 persone di raggiungere un grande
affiatamento e di lavorare ogni giorno alla costruzione pianificata
di grandi opere come mai prima era successo? Il problema principale
per il governo di Venezia, soprattutto dagli inizi del XVI secolo
in poi, fu di convincere migliaia di mastri, gli esperti artigiani
costruttori di navi veneziani, ad abbandonare la propria attività
presso gli squeri privati sparsi un po' ovunque in tutta la città
e accettare di lavorare alle dipendenze dello stato, coordinati
dai cosiddetti proti, che detenevano i compiti di direzione. Ora,
il lavoro in un cantiere delle dimensioni dell'Arsenale richiedeva
certe regole di comportamento e un'attitudine alla disciplina
a cui nessun lavoratore del tempo era abituato. Si era cercato
di accaparrarsi le migliori maestranze della città, che
si faticava poi ad amalgamare in un unico corpo di lavoratori
All'inizio per convincere questi lavoranti a prestare servizio
nel grande cantiere gli si permetteva di mantenere un'attività
esterna, e di non avere specifici obblighi lavorativi verso l'Arsenale.
Venivano tutti iscritti nel cosiddetto libro delle maestranze,
risultavano dipendenti dell'Arsenale, e potevano recarsi al lavoro
a propria discrezione; nonostante la media di oltre 5000 iscrizioni
spesso si faticava lo stesso a raggiungere un numero sufficiente
di persone attive in cantiere, e che effettivamente lavorasse
l'intera giornata. C'era un forte assenteismo perché si
poteva lavorare fuori, senza per questo perdere il diritto di
poter lavorare anche per l'Arsenale. All'interno del cantiere
erano comuni atti di saccheggio delle materie prime o di attrezzi
da lavoro; alcune persone addirittura nascostamente praticavano
attività di venditori ambulanti, scalpellini, fabbri e
altro ancora, che nulla avevano a che fare con l'attività
che queste avrebbero dovuto svolgere in Arsenale.
Le favorevoli condizioni di lavoro che lo Stato aveva concesso
per accaparrarsi i lavoratori avevano portato anche risvolti inaspettati
e non voluti. Si garantiva un lavoro sicuro che, anche se sottopagato
rispetto agli squeri privati (dove però il rischio di licenziamento
per mancanza di lavoro era molto alto), nessuno voleva più
farsi sfuggire. Il senato corse ai ripari. Frenò le iscrizioni
di nuovi apprendisti al libro delle maestranze. Il blocco delle
assunzioni portò in breve alla crisi del cantiere; l'età
media dei lavoratori si era alzata incredibilmente, e i vecchi
mastri non erano più in grado di portare a termine il loro
lavoro. A questo si aggiunsero il problemi portati al settore
navale veneziano dalla battaglia di Lepanto (1571). La concorrenza
dei vascelli olandesi e inglesi, oltre alla crisi derivata dalle
rotte atlantiche, cominciava a spaventare. Si ricominciò
ad assumere per dare nuovo vigore al cantiere. Dal 1629 con la
costituzione del registro battesimale venne garantito un flusso
regolare di nuovi apprendisti, figli dei vecchi mastri.
Si ebbe così anche un secondo effetto: lavorare all'Arsenale
era diventato un privilegio di alcuni soltanto, rafforzando quello
spirito di comunità lavorativa elitaria che d'ora in avanti
distinguerà gli arsenalotti da qualsiasi altra categoria
di artigiani. Dopo la terribile epidemia di peste del 1630, si
dovette ricostruire quasi da zero la forza lavoro dell'Arsenale.Questa
volta non solo si cercò di assicurarsi le migliori maestranze,
che poi grazie al registro battesimale (ripristinato nel 1650)
avrebbero continuato la gloriosa tradizione del cantiere, ma si
cercò anche di disciplinare maggiormente il lavoro. Venne
introdotta la frequenza minima lavorativa di 150 giorni l'anno
e vennero formati dei corpi di sorveglianza (gli appontadori e
i despontadori che controllavano le presenze e l'impegno sul lavoro,
e i capitani contro eventuali ladri e intrusi). Si stavano rafforzando
le condizioni per la formazione di una manodopera stabile, con
maggior consapevolezza del proprio ruolo. Nel periodo di apprendistato
venivano ora privilegiati gli aspetti disciplinari. I nuovi lavoranti
non erano disposti a rischiare il licenziamento, consapevoli di
una minor preparazione rispetto alla concorrenza esterna. Il rapporto
tra lavoranti effettivi e registrati era salito, a fine del XVII
secolo, a oltre l'80%, contro il 30% di quasi due secoli prima.
Si era raggiunto lo stesso livello di manodopera attiva del periodo
di massima espansione (metà del XVI secolo) con il 40%
in meno di iscritti. C'era ora un livello d'organizzazione tale
da permettere al cantiere veneziano di continuare a eccellere
così come nel secolo precedente, con una maggior efficienza
acquisita in fase di produzione.
Gli arsenalotti erano diventati una sorta di casta elitaria tra
gli artigiani, abitavano le zone attorno al loro luogo di lavoro
e anche fuori dal cantiere continuavano a sentirsi comunità.
Anche a livello cittadino godevano di alta considerazione, erano
loro per esempio a condurre il Bucintoro riccamente addobbato
nel viaggio annuale che culminava nello Sposalizio col mare nel
giorno dell'Ascensione. Ricoprivano inoltre ruoli di sorveglianza
presso la piazza di San Marco, e affiancavano il corpo degli sbirri
nel compito di polizia nelle zone attorno all'Arsenale.
Importantissimo fu anche il loro ruolo di vigili del fuoco e sono
numerosissimi gli attestati di atti eroici riguardo ad arsenalotti
gettatisi tra le fiamme per salvare vite in pericolo. La grandezza
dell'Arsenale non avrebbe mai goduto di tale fama senza il fondamentale
contributo che lo speciale corpo di lavoratori che lo "abitava"
vi ha apportato. L'attaccamento al proprio lavoro e la gratitudine
che manifestavano i lavoratori più anziani verso quel cantiere
a cui avevano dedicato la vita, riempiva d'orgoglio tutta la città
che poteva vantare un simile complesso produttivo agli occhi del
mondo.
Dalla seconda metà del XVI secolo cominciava per Venezia
il periodo di decadenza, nel quale si dimostrò forte il
divario tra le prospettive politico-strategiche e quelle belliche.
Falliti i tentativi di mediazione con i turchi, esplose la guerra
di Candia che costrinse l'Arsenale ad aumentare il numero degli
addetti alla produzione delle galere da 2000 al giorno del periodo
antecedente, a 3000.
La flotta mercantile veneziana uscì decimata dalla guerra
e questo permise alle navi inglesi e olandesi di sostituirsi in
buona parte alle navi veneziane nei traffici mediterranei. Lepanto
restò comunque un'impresa che venne celebrata in molti
modi e certamente l'Arsenale rappresenta uno degli strumenti di
tale vittoria. Questo periodo fu gravemente scosso da carestie
ed inondazioni, in particolare tra il 1575 e il 1577 quando Venezia
venne colpita dalla peste che ridusse la popolazione ad un quarto
del suo totale. L'Arsenale venne considerata come una "cittadella",
la meno devastata dal contagio: gli arsenalotti erano infatti
gli unici lavoratori ad avere una particolare assistenza medica
per le famiglie oltre ad avere un lavoro ed un salario garantiti.
Nonostante la perdita di Cipro, Venezia riuscì a risolvere
i problemi finanziari e demografici portati dalla peste e dalla
guerra potenziando l'industria e riportandosi ai vertici dell'economia
mondiale. Col passare del tempo l'Arsenale perse sempre più
la propria importanza militare lasciando spazio alla componente
mercantile, tanto che il settore della cantieristica da guerra
divenne quasi inattivo dopo il 1718, quando la produzione scese
a una nave l'anno con tempi di produzione lunghissimi; una breve
ripresa si ebbe verso il 1784 dovuta alla guerra contro i corsari
tunisini. L'introduzione delle "atte", navi in grado
di affrontare da sole il pericolo dei corsari, armate con cannoni
e sovvenzionate in parte dallo stato, l'Arsenale riprese la propria
attività riportando la sua cultura alle condizioni primitive,
quando cioè l'Arsenale fungeva più da deposito che
da simbolo militare dato che non vi era distinzione tra navi da
guerra e da mercato.
Nel periodo della prima occupazione francese (1797-1798), Bonaparte
si mise al comando dell'Armata d'Italia senza tener conto della
potenza dell'Arsenale: egli non considerava il Mediterraneo come
prospettiva prioritaria d'azione, ciò che importava era
invece l'Inghilterra. Le truppe francesi misero fuori uso tutte
le navi presenti nell'Arsenale che non avrebbero preso parte alla
guerra al fianco della flotta francese e vennero licenziati i
2000 addetti che vi lavoravano; fu inoltre abolita ogni distinzione
tra marina mercantile e marina da guerra. L'edificio fu riassestato
tra il 1798 ed il 1806 durante il primo governo austriaco (col
trattato di Campoformio, all'Austria furono assegnate l'Istria,
la Dalmazia e diverse province, nonché Venezia), ma il
suo carattere quasi esclusivamente militare non contribuì
alla ripresa del porto in cui il traffico risultava sempre più
ridotto, tanto più che Francesco I, imperatore d'Austria,
considerava la marina da guerra come un'inutile lusso e, pertanto,
preferiva utilizzare le proprie risorse per lo sviluppo del porto
commerciale di Trieste. Il successivo governo francese portò
modifiche sul piano strutturale per rimettere in funzione l'Arsenale
e accrescerne la produttività. Tra le operazioni più
rilevanti effettuate, furono sostituiti 12 cantieri cinquecenteschi
con 7 cale in pietra scoperte per la costruzione dei vascelli,
fu riaperta la Porta Nuova e fu posta "macchina per alberare"
le navi, tuttora esistente.
L'Arsenale giunse ad occupare fino a 6000 operai in questo periodo.
Dopo il periodo francese, dal 1815 fu arsenale dell'Impero asburgico
e, successivamente della marina militare italiana. In questo due
periodi assunse un ruolo importante, prima come luogo principale
di costruzione della navi austriache, poi di corazzate e incrociatori
per la Regia Marina.
Un ruolo importante lo ebbe ancora durante la Grande Guerra quando
fu retrovia del fronte sull'Isonzo e sul Piave; in Arsenale ebbero
la loro base sommergibili e Mas, furono realizzate batterie galleggianti
per le zone delle lagune e delle foci dei fiumi.
Oggi l'Arsenale, pure essendo zona gestita dalla Marina Militare,
e solo un monumento alla grandezza di numerosi aspetti storici
che caratterizzano una parte della storia italiana: la navigazione,
la storia dell'Adriatico, la storia della repubblica di San Marco.
L'auspicio di tutti è che esca dallo stato di decadenza
in cui si trova e riacquisti lo splendore monumentale che ha avuto
per secoli.
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