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Franco De Gradi


Il Raid dei Balcani
1973
Vienna - Danubio - Budapest - Mar Nero - Mar di Marmara - Dardanelli - Egeo - Atene - Corinto - Ionio - Adriatico - Venezia - Fiume Po - Ticino - Pavia

 

Il Raid dei Balcani, un’impresa decisamente impegnativa e difficile per quei tempi, era il 1973, é stata portata a termine (o quasi), dai nostri soci milanesi Franco De Gradi e Sandro Valsasina.


Franco e Sandro sono amici per la pelle, pieni di iniziativa e sognavano una vacanza diversa dalle solite col girospiaggia in barca, il bagnetto a mezzogiorno, la discoteca alla sera, ecc...

Durante i mesi invernali, aperta la carta geografica, hanno preso a fantasticare un favoloso viaggio da percorrere in gommone. Ecco com’è nato il Raid dei Balcani. Partenza da Vienna discesa del Danubio fino al Mar Nero navigare il Bosforo, il Mar di Marmara e i Dardanelli. Egeo, canale di Corinto, Ionio, risalire l’Adriatico, entrare nel Po, il Ticino. A Pavia la parola fine.

L’itinerario previsto, avrebbe toccato otto nazioni, disceso un fiume, risalito altri due e solcato cinque mari. Un percorso indubbiamente interessante che, appena proposto, colpisce la fantasia dei responsabili della ditta Reeves che concede il gommone, allora in fase sperimentale, l’Holliday 60 di metri 4,99 con fuoribordo Crescent 45 Hp ed un secondo, sempre della stessa marca, di 5 Hp. Per il carburante una serie di taniche di plastica collegate tra loro: 5 taniche da 20 litri e due da 25 litri per un totale di 150 litri di miscela.

All’interno del gommone, fra i tubolari, sistemano il materiale fotografico, la tenda, il necessario per il campeggio, una fornitissima cambusa, carte nautiche, una carta stradale dell’Europa e i Portolani.
Il 14 luglio partenza da Milano. Il giorno seguente, raggiunta Vienna, da uno scivolo varano il battello nella sostenuta corrente del Danubio ed alle 14,30, acceso il 45 Hp, ha inizio il Raid. Un mese esatto di navigazione fra fiume e mare per coprire i circa 7.000 chilometri previsti.
Il confine austriaco è presto attraversato e la sera, in Cecoslovacchia, alzano la tenda a Bratislava infastiditi da un incessante volo di grossissime e tenaci zanzare.
Entrano quindi in Ungheria ed attraccano a Budapest che raggiunta dal fiume appare splendida. Sino a questo momento l’avventura sul fiume è entusiasmante: oltre gli argini prorompe una natura rigogliosa e sui declivi si arroccano suggestivi castelli. Si verificano, però, alcuni inconvenienti. Uno consiste nella gran perdita di tempo causata dalle rigidissime formalità burocratiche che bisogna puntualmente assolvere non solo alla frontiera, ma anche ad ogni attracco. L’altro, strettamente nautico, è procurato dal canotto sperimentale H60 che, inspiegabilmente, non riesce a planare.

Il raid entra in Jugoslavia e, dopo aver toccato Belgrado, procede sul fiume che scorre fra le ripide pareti delle Alpi Transilvaniche fino a giungere alle Porte di Ferro, sede della gigantesca chiusa che, in due conche a sbalzi successivi, colma un dislivello di circa settanta metri.

I Carpazi sono alle spalle e davanti ai due naviganti si estende la vasta pianura che giunge sino al delta dell’importantissima via d’acqua. Il gommone, avvicinandosi alla foce, sembra sentire il richiamo del mare e all’improvviso alza la prua e plana. Il fatto di planare ha un immediato e positivo riflesso sulla media giornaliera. Il Danubio, prima di addentrarsi in territorio rumeno, è linea di confine tra questo Paese e la Bulgaria ed in tale tratto i controlli e la burocrazia si fanno più insistenti; anche l’uso della macchina fotografica è osteggiato.
Un guasto al 45 Hp è abilmente riparato da un meccanico prima dell’ingresso nel ramo Ovest del delta del Danubio: quello di S. Giorgio. Un ultimo visto sul passaporto ed il raid entra nel Mar Nero e, volta la prua ad ovest, costeggiano il litorale sabbioso. Più volte da appostamenti si alzano in cielo razzi che perentoriamente costringono i nostri a fortunosi approdi per ulteriori verifiche.
Appena lasciata la Romania per la costa Bulgara, il Mar Nero mostra i denti ed il battello è presto al limite delle possibilità nautiche. Franco e Sandro, compresa l’impossibilità di raggiungere il confine turco o di tornare indietro, si rifugiano nel porticciolo di pescatori di Ostrophol.

Come accostano al breve molo sono fermati da un paio di guardie ed il mattino seguente, dopo una notte in guardina, vengono trasferiti a Burgas per un interrogatorio nel corso del quale riescono infine a spiegare il loro approdo non autorizzato. Alquanto depressi per l’inattesa avventura e con la fatica che comincia a farsi sentire, riescono finalmente a raggiungere il confine turco e, attraversato il Bosforo, ad attraccare nel porticciolo turistico di Istambul.

Si concedono un solo giorno di riposo dedicato più a sistemare il canotto che ad una visita turistica, poi, in gran fretta, ripartono: il raid accusa un ritardo di ben 5 giorni sulla loro ideale tabella di marcia. Debbono sbrigarsi. Solcano il mar di Marmara e, lasciato di poppa lo stretto dei Dardanelli, entrano nell’Egeo.

E’ il 2 agosto e il Meltemi, come di consueto in questa stagione, solleva un gran mare. Con il battello ed il motore quasi sempre sollecitati al massimo delle possibilità e costantemente bagnati, fanno rotta prima sull’isola di Imbro, poi su quella di Lemno, quindi toccano Efstratios ed infine Skyros.

Convinti che ormai il più è superato, Franco e Sandro, sono euforici con il morale alle stelle quando, a mezzogiorno del 6 agosto, mollano gli ormeggi dal porto di Atene alla volta del Canale di Corinto. E’ quasi fatta: Ionio e Adriatico sono lì, a portata di mano. Sul mare si rincorrono onde alte e gonfie sferzate dal solito vento di Nord-Est. Al traverso dell’isola di Egina improvviso ed inatteso giunge il dramma.

Come scaturita dal nulla davanti alla prua una consistente barriera di relitti che, galleggiando a fior d’acqua, fluttua alla deriva. Nello stesso momento in cui Franco e Sandro si rendono conto del pericolo è già troppo tardi: il gommone si schianta su una cassetta irta di chiodi. Lo sperimentale H60 ha il tubolare di prua e quello di sinistra irrimediabilmente lesionati; solo quello di destra rimane illeso. Sono le 13,40.Il gommone lentamente affonda mentre l’equipaggio, col motore al minimo, tenta di raggiungere l’isola di Egina per evitare il naufragio. Cercando con ogni mezzo di conservare il canotto in assetto e in un disperato tentativo legano al tubolare semisgonfio le taniche di benzina svuotate del loro contenuto. Inutilmente. Il gommone si mette verticale rispetto all’onda. Al largo transitano numerose imbarcazioni che non si accorgono dei numerosi razzi sparati dai due naufraghi. Alle 15 Egina è a sole due miglia.
I due amici si separano. Franco tenta di raggiungere a nuoto l’isola in un mare sempre più consistente e viene fortunosamente raccolto, quando ormai le forze cominciano a venirgli meno, da un motoryacht battente bandiera inglese. Confortato ed aiutato dai soccorritori fa dirigere a tutta forza alla volta di Egina per dare il via ai soccorsi. Di lì a poco elicotteri di una base americana e navi traghetto iniziano a perlustrare il tratto di mare alla ricerca di Sandro che, rimasto a cavalcioni del tubolare, spara inutilmente gli ultimi razzi: nessuno li vede. Poi inserisce su un remo un sacco giallo e con quello si sbraccia disperatamente.
Vede passare traghetti, una petroliera, pescherecci: nessuno si accorge del suo segnale. Sfiduciato, alle 17,30, risolleva il remo in un ennesimo tentativo e finalmente un’imbarcazione a vela si dirige su di lui ed accosta: batte bandiera tedesca. Sale a bordo, esausto, mentre il gommone viene preso a rimorchio. Alle 18,50 termina il suo incubo, ma non la preoccupazione per la sorte dell’amico che aveva visto sparire a nuoto tra le onde. Il cutter dirige su Egina e da bordo sente il rombo degli elicotteri in perlustrazione. Alle 20,30 sbarca sul molo dell’isola, dove, commossi, i due amici si ritrovano.

Così a Egina finisce il Raid dei Balcani. Franco e Sandro, recuperato quello che resta del gommone e il motore, rientreranno in Italia con un comodo jet.

Giancleto Toschi* - articolo pubblicato su Mare 2000 del 1976

* Nostro socio onorario, Giancleto Toschi, per molti anni ha collaborato con le più importanti riviste del settore ed é autore del libro "Mare 7" edito dalla Casa Editrice Bietti di Milano, dove descrive il raid di 2500 miglia da lui effettuato nel 1975 da Genova a Tangeri.


Franco De Gradi (Barbarossa) e Sandro Valsasina

Articolo pubblicato su Il Giorno Martedì 14 Agosto 1973