di
Virginio Gandini
Il
periplo della Corsica descritto nelle pagine successive é stato
effettuato nel 1980, per
la verità non era il primo e tanto meno l’ultimo, era però il
primo pubblicato su una rivista del settore (Mare 2000 Agosto
1982). In effetti il giro é iniziato e concluso a Castiglion della
Pescaia in Toscana, ma i responsabli della rivista non hanno voluto
pubblicare la parte “diseducativa” della traversata in quanto
i mezzi non erano omologati oltre le sei miglia.
IN
GOMMONE PER SCOPRIRE LA CORSICA
" Miglio dopo miglio l’intero periplo di quest’isola selvaggia
e affascinante. Tutti i ridossi più sicuri e le spaggie dove é possibile
campaggiare. Come attrezzare il gommone per navigare in sicurezza."
L’arrivo a Bastia non è certo dei migliori, il motore mi pianta
proprio nel mezzo del porto vecchio, fra una draga e un peschereccio.
Per evitare che il mio gommone faccia la fine di una sottiletta
in un panino, mi butto a prua e, a remi, faccio gli ultimi 50 metri
che mi separano dalla banchina, pagaiando come un forsennato sotto
il sole di mezzogiorno. Dalla banchina gli amici mi danno una mano:
tolta la calandra e cambiate le candele, il Volvo parte subito,
facendo però un sacco di fumo.
La miscela è troppo grassa, cambierò serbatotio. Ora l’importante
è mettere qualcosa sotto i denti.
Alzo la testa e sopra di noi, in mezzo al gruppo di case che sovrastano
il porto vecchio, spicca il terrazzo di quello che sembra un ottimo
ristorante. Restaurant La Grotta: lo proviamo subito. Da lì dominiamo
tutto il porto, gommoni compresi. Gustiamo il paté de merle. A quanto pare, i corsi ne vanno veramente matti, lo troveremo dappertutto
sull’isola.
L’arrivo di alcune barche di pescatori ci distoglie dai piaceri
della tavola: dobbiamo spostare i gommoni. Tanto vale spostarci
verso Macinaggio, anche perché è domenica
e qui il distributore in banchina è chiuso; a Macinaggio
ce ne sono due e uno sarà senz’altro aperto.
All’uscita del porto ci accorgiamo che il mare è rinforzato. Per
fortuna viene da sud-est, quindi l’abbiamo al giardinetto, se così
si può chiamare il cono di poppa del gommone. Alziamo un po’ di
spruzzi, ma l’andatura è buona. Stanno peggio gli equipaggi con
i gommoni più piccoli, ma sono già le quattro del pomeriggio e per
poter campeggiare dobbiamo
arrivare almeno al ridosso di Capo Corso.
In
un giro così lungo e impegnativo, sarebbe importante che gommoni
e motori fossero simili per lunghezza e potenza. Purtroppo, invece
si scende sempre a compromessi e così siamo partiti con due gommoni
da quattro metri con motori da 20 Hp, tre Bat 7 da 5 metri con
40 Hp, un Mirage da quattro metri, e un Bat 10 da 5 metri e mezzo
con due Volvo da 40 Hp. Tenerli tutti vicini non è stato facile.
L’entrata
a Macinaggio presenta qualche difficoltà, perché il porto è pieno,
come al solito, e il vento provoca gran scompiglio, con ancore
che arano e via dicendo. I distributori sono aperti: il primo
in banchina ha solo benzina super, l’altro è a 20 metri dal porto,
ma ha la benzina normale che tutte le case di motori consigliano
a chi la miscela se la fa da solo. E siccome sono all’inizio delle
vacanze non voglio sorprese. E così scegliamo il distributore
più lontano. Facciamo anche acqua e ce ne andiamo subito.
Macinaggio
è ben protetto, ma per noi che dobbiamo piantare le tende non
va bene... a meno di inchiodarle sul cemento armato delle banchine.
Passata
l’isola di Finocchiarola, troviamo un po’ di ridosso, a patto
di restare molto sottocosta. Più avanti, Baia Santa Maria è riconoscibile
dalla torre genovese posta a livello del mare e spaccata verticalmente
a metà. Va benissimo per campeggiare. La baietta è rivolta verso
Nord-Est ed è perciò protetta dal maestrale, vento dominante in
estate. Per di più la spiaggetta permette di alare agevolmente
i gommoni. Noi però vogliamo guadagnare un po’ di strada e non
ci fermiamo. Passiamo Capo Corso un po’ troppo di volata; d’altronde
è già tardi e vogliamo superare il porto di Centuri. Dopo Capo
Corso il mare è piatto o quasi. Solo lontano dalla costa lo si
vede biancheggiare.
Raggiungiamo
l’ansa di Aliso alle 20, lasciamo i gommoni all’ancora e piantiamo
le tende. Stasera scatolette. La notte è tranquilla e il vento è calato,
solo verso le due un tipo con una Dune Buggy si mette a zigzagare
fra le tende; rischia, fra l’altro, di investire un ragazzo che
dorme vicino a noi in un saccoa pelo. A un tratto l’automobilista
pazzo resta bloccato nella sabbia.
Usciamo tutti dalle tende e senza dire una parola gli liberiamo
la macchina, purchè se ne vada e ci lasci finalmente in pace.
Al
mattino, il vento, reso più forte dal canalone che ci sta alle
spalle, solleva nuvole di sabbia, partiamo di corsa e appena usciti
dalla baia, a ridosso dalla costa, il vento cessa. Se è vero che
il tempo si vede dal mattino...
La
costa in questo tratto è molto alta e frastagliata. Ogni tanto
si aprono dei canaloni che, con vento da est, sparano fortissime
raffiche in mare. A vela evremmo avuto dei problemi, in gommone...
ne abbiamo ancor di più perché sono tutte docce gelate.
In
vista dell’enorme spiaggione di ciotoli neri di Nonza decidiamo
di fermarci per visitare il paese a picco sul mare. Ancoriamo
davanti alla spiaggia: già a qualche metro dalla riva c’è un fondale
rispettabilissimo. Ne so qualcosa
perchè, buttandomi in acqua convinto di toccare, sono finito
sotto di qualche metro.
Il
panorama, visto dal paese, è stupendo, il tempo è cambiato e si
è messo al bello. Lo spiaggione è completamente deserto. Viene
subito da pensare a Rimini, dove a quest’ora faranno i turni per
entrare in acqua.
Il paese è molto bello e raccolto, ci sono dei ruderi e c’è la
solita torre genovese, una delle tante che sono sparse per tutta
la Corsica. Facciamo anche colazione, visto che stamattina abbiamo
dovuto sbaraccare in fretta a causa del vento
che sollevava nuvole si polvere e sabbia.
Lasciata
Nonza, puntiamo per Saint Florent. La costa è meno bella, non
permette di attraccare, ma nello stesso tempo è più bassa. Manca
insomma lo scenario della costa che cade a picco.
All’ingresso
del porto la scritta “Saint Florent” è corretta con vernice spray in dialetto corso:
San Fiorenzu. Il marina è molto grande
e, per quanto sia affollato c’è un sacco di posto. In banchina
c’è tutto: benzina, acqua, posta e telefoni. Ne approfitiamo per
fare i permessi in gendarmeria per la pesca subacquea. Il permesso
consiste nel prendere visione delle zone dove non è possibile
pescare, pagando una piccola tassa. Il gendarme, addirittura gentilissimo, ce le
segna sulle nostre carte nautiche. Per mangiare, di fronte al
porto c’è una fila di ristoranti
e una tavola calda fa servizio 24 ore su 24, Oliver il
nostro “playboy” rimedia un appuntamento
per novembre a Parigi con una cameriera. Comodità delle
comodità: in fondo al porto c’è un campeggio sotto una fitta pineta
con tanto di banchina. Non a tutti, comunque, gradiscono questa
sistemazione; c’è chi vuole la spiaggia deserta e chi preferisce
un minimo di comodità. Io non me la sento di mettermi ancora in
mare, anche perché si è fatto tardi.
Quindi ci diamo appuntamento per l’indomani su una delle spiaggette
fuori dal porto, sulla costa di quello che chiamano il Deserto
Des Agriates. Faccio un
po’ di spesa, una buona doccia e poi a nanna, cullato da una parte
dallo strimpellare di una chitarra e dall’altra dal ronfare del
mio vicino di tenda.
Al mattino, subito colazione al bar e poi via, alla ricerca dei
dissidenti. Fuori dal porto li sentiamo subito via radio. Meglio,
così non perdiamo tempo a cercarli. La spiaggia è veramente deserta
e la baietta tranquilla è appena dopo punta Mortelle, dopo il
secondo faro uscendo da Saint Florent verso nord-ovest. Decidiamo
di fermarci qualche giorno e monto subito la tenda smontata un’ora
prima, ma l’amico Antonio non ne ha voglia: il campeggio l’ha
già un po’ stancato e preferisce portarsi fino al Ile Rousse per
trovare un buon albergo.
Ci diamo appuntamento a Calvì fra due giorni, tanto lui non ha problemi conosce già la costa: e ha
un Bat 10 con due motori.
Il mare è molto invitante e cominciamo a usare i nostri permessi
di pesca. Usciamo con il mio Bat 7, più che mai agguerriti, mentre
le donne preparano le padelle. Il
fondale è ricco di tane e dopo qualche immersione cominciamo
a prendere qualcosa. L’acqua è limpidissima, a cadute di massi
si alternano letti di posidonie e spiazzi di sabbia bianca.
Risaliamo
poi sul gommone e mi accorgo che il timone non governa più, si
è rotto il cavo della timoneria, proprio all’altezza della staffa
che lo fissa allo specchio di poppa, questa non ci voleva, torniamo
a riva tenendo il minimo, con Oliver che governa
spostando a destra e a sinistra il testone del Volvo, ma
ho davanti ancora tutto il giro della Corsica, e bisogna quindi
rimediare. Al campo smonto tutta la timoneria. purtroppo non c’è
niente da fare, va proprio sostituito il cavo. Conviene tornare
a Saint Florent, dove avevamo visto diverse officine meccaniche.
Mauro
mi accompagna con il suo gommone. A Saint Florent capitiamo bene.
Il meccanico è molto gentile e ben attrezzato, ma un cavo uguale
non c’è, dobbiamo adattarne uno. C’è un pezzo da filettare e il
resto lo dovrò fermare io in qualche modo. Il tutto mi costa sulle
ottanta mila lire. Pazienza, l’importante è poter proseguire.
Un’altra giornata è passata. Di notte una volpe ci fa visita,
si affaccia alle tende e poi scappa. Il mattino seguente un’altra
sorpresa, il Selva 50 Hp di Alessandro non vuol saperne di partire.
Qualche noia l’aveva data anche prima, ma adesso sembra proprio
scoppiato. Smontiamo le candele, il carburatore e proviamo anche
con dell’etere; niente, Saint Florent aspettaci! L’amico meccanico,
arrivato in banchina con il camioncino per il pronto intervento,
scuote la testa, deve portare il motore in officina e smontarlo.
Ci vorrà qualche giorno e per noi il tempo stringe.
Offriamo
ad Alessandro e a sua moglia di continuare con noi, lasciando
in custodia il suo gommone per poi riprenderlo a fine giro con
macchina e carrello. Problemi di posto non ce ne sono , io sono
solo sul mio gommone e Mauro anche. Alessandro però non ne vuol
sapere. Dice che ci raggiungerà alla Girolata.
Ormai
sono le 17 e per Calvì ci sono 26 miglia; conviene darci dentro.
Mauro in testa tira il gruppo, io per secondo e gli altri dietro.
Il mare non è proprio buono, c’è onda lunga da maestrale e dobbiamo
star ben lontani dalla costa per evitare le onde riflesse. Arriviamo
a Calvì intorno alle 20, facciamo un rapido giro in
porto, troviamo il maxi-gommone di Antonio, ma lui non c’è. Di sicuro è in qualche ristorante. Lo troveremo
l’indomani mattina.
Il mare è diventato
un olio e così ancoriamo i gommoni davanti alla spiaggia, sbarchiamo
tendine e fornelli, Massimo cucina e noi armeggiamo al buio con
picchetti e cordini. Notte calma.
Alle 5 del mattino siamo svegliati da gente che corre. Sono legionari
in tuta ginnica che, con due sassoni in mano, corrono su e giù
per la spiaggia. Abbiamo piantato le tende vicino alla caserma,
una costruzione bassa proprio al centro del golfo. E’ una fortuna,
perchè all’esterno ci sono delle docce e noi ne approfittiamo
immediatamente.
Calvì,
oltre ad avere un ottimo e nuovo porto, è anche una bellissima
cittadina, dove si può trovare di tutto, con benzina e acqua in
banchina: facciamo il giro della cittadella vecchia e davanti
al porto scopriamo un ottimo ristorante. Troviamo anche Antonio,
contentissimo pure lui, nonostante gli scarafaggi dell’albergo.
Prossima tappa, la Girolata. Dal faro della Revellata alla Girolata
è la parte più bella della Corsica.
Per scoprirla tutta, va costeggiata anfratto per anfratto
come solo con un gommone si può fare. La costa è ricca di grotte,
faraglioni e fiordi; in alcuni di questi si può entrare e uscire
cento metri più avanti, senza che dal largo si veda nessuna entrata.
Le rocce passano dal color giallo al rosso, in
contrasto con il blu intenso del mare.
Punta Palazzo è impressionante con altissime guglie che escono
dal mare per centinaia
di metri. Poi si apre il golfo di Girolata. Le rocce rosse adesso
sono tutte incappucciate di verde e la costa si fa più dolce:
proprio qui incontriamo un gruppo di delfini, i primi da che siamo
in Corsica.
Giocano,
uno salta a mezzo metro dal gommone di Oliver, passa sotto il
mio e riemerge davanti. un altro si tiene ritto sulla coda e fa
evoluzioni strane come se fosse addomesticato. Alla Girolata,
il ridosso é ottimo, ma è impossibile campeggiare. Sulla spiaggia
c’è un ristorante e diversi magazzini
di pescatori, una rete impedisce di arrivare agli spiazzi che
stanno dietro.
Si
può però fare un po’ di provviste e in una specia di gabbiotto
c’è anche un telefono a scatti, di proprietà del ristorante. Ci accampiamo su una spiaggia fuori dalla Girolata.
Sulla cartina è segnata come Ansa di Tuara.
Ancoriamo i gommoni nella parte nord della baia, a ridosso di
una piccola punta. Stasera ci tocca un’altra scorpacciata di scatolette.
Restiamo qui tre giorni, un po’ per il mare brutto, un po’ per
aspettare Alessandro. Al quarto la sveglia è alle 5, smontiamo le tende ancora umide e ce ne andiamo velocemente. Alessandro, vista la difficoltà
delle riparazioni rientrerà in traghetto.
Tagliamo tutto il golfo di Portò, contiamo di arrivare per sera
a Propriano. Ci sono 50 miglia e dobbiamo fare benzina. A Portò
non ce n’è in banchina, il distributore più vicino è a Cargese
o a Sagone, decidiamo per Sagone. Intanto si è alzato un bel venticello
da sud-ovest. Speriamo bene.
A
Sagone non esiste un porto vero e proprio, c’è solo un molo nella
parte ovest della baia
e una specia di imbarcadero malridotto
nella parte est. Le barche sono tutte ancorate al centro della
baia. Di benzina e acqua neanche a parlarne e, purtroppo,
siamo tutti a secco. Dobbiamo titare in spiaggia i gommoni e,
tutti in processione coi serbatoi in spalla, attraverso un sentiero
avviarci al distributore sulla provinciale.
A
mezzogiorno mentre pranziamo sulla spiaggia, il motoscafo di un
locale si impiglia con l’elica nella cima del gommone di Antonio,
l’unico che aveva ormeggiato al piccolo molo. Quest’ultimo, quando vede il francese che dal pram, con un
coltello da sub, sta per tagliare la sua preziosa cima, si precipita
al molo e gli grida di fermarsi, ma il francese continua. Antonio
balza sul pram. Vola qualche cazzotto e il pram si rovescia: finiscono
in acqua tutti e due, vestiti e coltello in mano. Intanto sia
il motoscafo, sia il gommone, spinti dal vento, vanno alla deriva:
i due litiganti sono costretti ad interrompere le ostilità
e a recuperare le proprie imbarcazioni, il molo intanto
si riempie di gente che commenta ironica, parteggiando ovviamente
per il loro connazionale. Antonio, raggiunto il gommone, manovra per accostare alla banchina
e mi lancia, troppo forte, una cima, che finisce come una frustata
sul gruppo di francesi vocianti al mio fianco. Attimi di paura!
Tentativo di linciaggio... beh! il resto oramai l'ho rimosso dall'inconscio.
Il vento adesso viene deciso da libeccio; il mare al largo biancheggia. Per attraversare
il golfo ed evitare lo onde di prua, puntiamo su baia Liscia
e da qui scendiamo costeggiando.
Solo
in qualche ansa troviamo un po’ di ridosso, ma appena fuori dalle
punte i gommoni, presi dal vento, si impennano, io butto tutto
quel che posso a prua ma immancabilmente, dopo qualche ondata,
ritorna tutto indietro. Passato
capo Feno dirigiamo verso le Sanguinarie (le isole). Adesso
le onde sono al mascone, quasi al traverso e, pur ballando, si
viaggia meglio. Oliver e Claudio sui gommoni più piccoli stanno
peggio; Oliver, poi, sta seduto sul fondo con legata al collo
la cappa da notte, a mo’ di barbiere, ed è sempre più deciso per
l’alpinismo.
Sostiamo al riparo delle Sanguinarie e sistemiamo il carico; decidiamo
di tagliare tutto il golfo. Aiaccio è un po’ troppo affollato
e dalle Sanguinarie a capo Muro ci sono una decina di miglia.
Intanto il vento è calato parecchio. Da capo Muro a Propriano
altre 12 miglia.
Arriviamo
che sono le sette di sera, in tempo per un “pastis” e un po’ di
spesa. Ci accampiamo appena fuori dal porto, su una spiaggetta dietro una punta, a capo Lauroso.
Mai scelta fu più sfortunata: poco lontano, nascosta da una pineta,
c’è una discoteca e alle spalle della spiaggia dove
abbiamo piantato le tente c’è un
posteggio. Vi lascio immaginare il resto.
Al mattino quando lasciamo Propriano, c’è sempre onda lunga da
ovest; sembra di correre
sulle dune. Sono in testa al gruppo quando arriviamo a punta di
Campo Moro e improvvisamente, sento un gran puzzo, tolgo il gas
e mi accorgo di essere in mezzo a una gran macchia di gasolio;
più avanti, vicino a degli scogli affioranti, escono dall’acqua
gli alberti di una barca. Ecco da dove arriva il gasolio: dev’essere
successo ieri sera o stanotte. Mi sbraccio verso i miei soci,
hanno capito e se ne stanno alla larga. Piano piano mi porto fuori
dalla macchia e li raggiungo.
Restiamo
a guardare, fa sempre impressione un relitto così recente.
Più avanti punta Senetosa. Qui le rocce della costa assomigliano
a quelle della Gallura, rotonde e di granito.
Il vento viene deciso da sud-ovest, il mare comincia a frangere e questo non è certo il punto migliore
per farci sorprendere da una libecciata. Siamo al traverso degli scogli dei Monaci e decidiamo per Bonifacio,
saltando il pur bel fiordo di Figari. Dodici miglia dice il Mancini.
Le onde sono al traverso, frangono sui tubolari e il vento porta
a bordo un sacco di spruzzi. Entriamo in Bonifacio coperti di
sale, in fila indiana e con motori al minimo, l’ideale
per ammirare le bianche pareti di calcare. In alto sulla
sinistra , un gruppo di capre, come fossero incollate, se ne stanno
all’ombra delle rocce.
A destra la vecchia cittadella, in fondo il marina, nuovo e attrezzatissimo.
Per prima cosa, doccia e barba al Club Nautico, cinque franchi; dal Club, si può anche
telefonare, ho qualche difficoltà solo quando mi chiedono il nome
della barca per registrarla. Il comandante, degnissima persona e vero uomo
di mare, quando gli spiego
il nostro giro ci dà tutto l’aiuto
possibile e così possiamo lasciare
i gommoni nel marina. Per mangiare, nonostante l’ora tarda,
abbiamo un riferimento ben preciso, La Rascasse, Massimo e Mauro
c’erano già stati: ne parlavano da Bastia. Ottima la “paella”,
ne sa qualcosa Rosy, che dopo aver finito il suo piatto è riuscita
a finire anche il mio. Nel pomeriggio ci accampiamo nella prima spiaggia
entrando in porto, cala dell’Arenella, riparatissima.
Il giorno dopo, passiamo la mattinata in completo relax e nel
pomeriggio, nonostante
il mare sempre più grosso, Mauro, Massimo ed io facciamo la nostra
bravata. Usciamo con i nostri tre gommoni diretti a Lavezzi.
Gli altri ci raggiungeranno l’indomani sperando in un mare
più calmo. Già nell’avanporto butto un serbatoio a prua per contrastare il vento per rimetterlo al suo posto una volta girata Punta del Timone. Il mare e il vento adesso sono di poppa. Comincio a dare
e togliere di gas; passato Capo Pertusato, le onde sono veramente
grandi e lunghe. L’importante è non lasciarsi intraversare nel
cavo delle onde. Vedo Massimo e Mauro solo quando sono in cima
alle creste, poi spariscono. Un’ora e mezzo per fare sei miglia.
Tra Lavezzi e Cavallo è pieno di scogli e bassifondi.
Ancoriamo
a cala Greco e montiamo le tende duecento metri all’interno, a
ridosso di enormi massi, proprio sulla destra del piccolo cimitero
della Semillante. A parte i moscerini del mattino, le vespe del
mezzogiorno, le zanzare della sera e i “puffin di sant’André”,
una specie di berte di mare che di giorno vivono in buchi sottoterra
e di notte lanciano urla da accaponare la pelle, Lavezzi è splendida.
Gli
amici ci raggiungono il giorno dopo, almeno ci dividiamo le vespe.
Restiamo quattro giorni e facciamo puntate anche nelle isole di
La Maddalena e nella vicina
isola di Cavallo.
Al
quinto giorno siamo di nuovo in navigazione, risaliamo la Corsica
passando per l’isola Piana. Qui a Punta Sperone, in una piccola
insenatura rivolta verso est e riparata dall’isola, scopriamo
la più bella spiaggia di
tutta la Corsica, racchiusa fra alte pareti ricoperte di vegetazione,
con una sabbia bianchissima, impalpabile, tanto da sembrare borotalco.
Me la segno per il prossimo anno: voglio tornare per godermi questo
incredibile e bellissimo angolo di Corsica.
Passato il golfo di Santa Manza, il cielo comincia ad annuvolarsi,
speriamo che non cominci a piovere, sarebbe la prima volta da
quando siamo partiti. Entriamo
a Porto Vecchio ancora asciutti. Faccio benzina, poi copro per
bene il gommone: sono sempre dell’idea che non la passiamo liscia.
Infatti siamo al ristorante quando vien giù un furibondo acquazzone,
che per fortuna si esaurisce in un attimo.
Campeggiamo nella baia di San Cipriano, sotto gli alberi, sulla
sinistra entrando. Una specie di rigagnolo ci separa dalla spiaggia,
per altro frequentatissima.
Lasciamo
in acqua i gommoni, al riparo della punta. Il posto non è male,
peccato che le zanzare siano grosse come piccioni. Ci consoliamo
in una delle baracche dietro la spiaggia, con grosse costate alla
brace.
La mattina dopo c’è mare calmo e assenza di vento. Meglio così
perchè contiamo di arrivare sino a dopo Campoloro, facendo tappa
ad Aleria. Stamane regna la disciplina nel gruppo. Grazie al mare
calmo, nessuno scappa avanti e nessuno resta indietro. Viaggiamo
uno di fianco all’altro in perfetto allineamento. Sembra quasi
uno sbarco di commando, in formazione.
Dopo Solenzara, comincia una lunga spiaggia: quasi cinquanta miglia,
fino a Bastia. Dietro
la spiaggia c’è una foltissima pineta. Con mare calmo vale la
pena di fermarsi. Peccato
che una vasta zona sia militare e qualche miglio prima di Aleria,
in località Casabianda, ci sia un penitenziario, con divieto assoluto
di sbarco, anche perchè i detenuti girano liberi.
Per
una grossa barca, l’unico
porto è Campoloro. Con i gommoni, invece, c’è possibilità di risalire
per un pezzo la foce del Tavignano (attenzione alla barra di sabbia
all’ingresso), oppure di entrare nello stagno di Urbino o in quello
di Diana. Quest’ultimo vicinissimo al Tavignano. Alle spalle,
l’antica città di Aleria. Ci fermiamo in una trattoria sulla spiaggia,
modesta ma con pesce fraschissimo.
Nel pomeriggio rifornimento e doccia a Campoloro, attrezzatissomo
marina sempre per metà vuoto. Da qui a Bastia ci separano le ultime
25 miglia, il nostro giro è finito.
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