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Otranto Kushadasi Otranto
1989
di
Augusto Gandini


E’ il 15 luglio 1989 e solo oggi decidiamo di intraprendere un viaggio in gommone con partenza i primissimi giorni di agosto. Porto di partenza Otranto, quello di arrivo Kusadasi in Turchia. La preparazione del gommone è frenetica ma il 1° agosto siamo pronti con un mezzo dotato anche di albero e relativa vela da surf opportunamente adattati per ogni eventuale emergenza.
Arriviamo ad Otranto il 3 agosto alle ore 12.00; in un paio d’ore siamo pronti a salpare, cosa che facciamo quanto prima spinti soprattutto dagli “esperti” meteo che stazionano in banchina che ci assicurano “o adesso o mai più “. In verità bisogna riconoscere che avevano perfettamente ragione in quanto la traversata e’ filata via liscia come l’olio mentre degli amici che consideravano folle partire nel pomeriggio, sono poi rimasti in banchina tre giorni causa mare impraticabile.

Arriviamo alla dogana di Corfù ed espletiamo le pratiche in pochi minuti, facciamo il pieno di carburante e continuiamo fino a Sivota dove arriviamo ben oltre l’imbrunire. Troviamo un ormeggio tra le barche dei pescatori, ci laviamo e ci cambiamo e poi via, a cena dove affamati divoriamo un pasto pantagruelico a base di pesce. Le pochissime dracme del conto ci fanno chiedere una revisione all’insù ma quelli capiscono che protestavamo per troppi soldi e per scusarsi ci portano altre cose; alla fine tra risate e “Italia Grecia una faccia una razza” la serata si conclude con una ricca bicchierata. Ci prepariamo per la notte e poiché non abbiamo travato camere ci adattiamo in gommone.
Il giorno dopo si riparte alle sei, il mare è calmo e con facilita’ raggiungiamo Nidri dove ci fermiamo a fare colazione e carburante quindi via per il golfo di Corinto; fermata a Lepanto dove nel porto risalente all’era romana si può fare rifornimento in banchina ma una risacca terrificante ci costringe comunque a sbarcare i serbatoi. Partenza nel primo pomeriggio ma un mare di prua bello frangente ci costringe a fermarci. Trizomia, piccola isola all’inizio del golfo di Corinto ci accoglie in maniera perfetta: baia superprotetta e albergo con ormeggio gestito da greci vissuti per tanti anni in Francia, quindi qualità europea e prezzi greci: che pacchia!

Con mare di prua e cerate, che non ci abbandoneranno più, arriviamo all’ingresso del canale di Corinto dove tre ore di attesa non ce le toglie nessuno. Anche dall’altra parte il mare non è da meno e per salvarci un po’ decidiamo di passare a nord dell’isola di Salamina e qui troviamo subito all’inizio dello stretto un albergo che, scopriremo poi,ha standard di qualità greci e prezzi europei ma la scelta è giustificata da un buon ormeggio. Il giorno seguente la navigazione prosegue circumnavigando l’isola di Salamina a nord e tre sono i fatti salienti: 1°) la navigazione è proibita al naviglio da diporto causa servitù militari (lo scopriremo qualche mese dopo). 2°) avremo visto ancorate, una di fianco all’altra in gruppi di dieci quindici, centinaia di navi in attesa di rottamazione, rese dalla ruggine tutte perfettamente marroni; uno spettacolo che per le dimensioni, è indescrivibile. 3°) a metà canale il mare incomincia a perdere al suo colore blu, diventa lentamente grigio e un odore di fogna pervade l’aria; una cosa simile, ma molto meno accentuata l’ho provata navigando il Po alla confluenza del Lambro. Evidentementele le fogne di Atene scaricano tutto direttamente a mare e in una sola località. Ancor prima di mezzogiorno arriviamo salvi (dalla polizia e dai liquami) a porto Zea. Dopo aver contrattato l’ormeggio con un pescatore decidiamo di visitare il Partenone. Lo si raggiunge con una tratta in filobus e poi con la metropolitana per la quale ci vuole esclusivamente moneta. L’unico che ne dispone è un venditore di ciambelle (con mosche) che cambia solo se compri; la conseguenza e uno stormo di piccioni belli grassi che gravita sulla piazza allevati a …ciambelle. Il caldo però ci stronca e facciamo ben presto ritorno al porto. Salutiamo il pescatore e facciamo rotta su Capo Sunion. Man mano che procediamo il mare si fa più accettabile e arrivati al capo tentiamo la traversata verso Kea. Circa alla 20.30 sbarchiamo sull’isola e, visto che non ci sono altre possibilità, montiamo la tenda in un posto che di campeggio ha solo l’insegna. Cena perfetta e a letto subito.

Le prime miglia di navigazione sono lungo la costa sud-ovest di Kea, coperti dal vento e nulla ci lascia presagire cosa ci possa essere oltre l’estrema punta meridionale. Doppiato il capo cambia il mondo; un mare frangente ci galoppa contro e contrasta la nostra intenzione di raggiungere il canale tra Tinos e Mikonos. Procediamo per più di un’ora ma senza grandi risultati; ci accodiamo anche a un traghetto che presumibilmente fa rotta verso Tinos ma l’unico guadagno è quello di avere un pubblico di 400 persone che ci guarda dalla poppa della nave. Nostro malgrado dobbiamo desistere e bagnati fradici dobbiamo ripiegare su Kithnos, in un porto secondario. Nel frattempo si è assottigliato il carburante; con quattro taniche vuote da 20 litri prendiamo la corriera che ci porta al centro principale dove possiamo fare il pieno. Al ritorno, ma con taniche piene, stessa solfa senza che nessuno avesse da ridire sulla puzza di benzina che emanavano le nostre taniche. Il nostro vicino di barca con cui abbiamo fatto amicizia, uno che va in giro per l’Egeo con un gozzo di legno di 5 metri e un diesel da 10 cavalli ci assicura che per un po’ di giorni ci terremo buona compagnia. Nonostante le raccomandazioni la mattina dopo lo salutiamo e lottiamo per 5 ore col vento e con le onde col solo risultato di raggiungere Siros (25 miglia). Il porto è prettamente commerciale anzi, ancor peggio, quasi industriale, per di più in un giorno festivo. Inganniamo il tempo…andando a rabboccare i serbatoi. Improvvisamente, come d’incanto il lungomare verso sera si anima di bar che aprono e allineano tavolini e sedie, le poche barche da diporto si moltiplicano e il nostro destino si compie: dobbiamo lasciare l’ormeggio e trovarcene un altro. Dormire di fianco a una bettolina e ad un pontone con imbarcata una gru gigantesca è romantico solo se si chiudono gli occhi e si possiede molta immaginazione. Ci addormentiamo con la grande speranza che domani si possa ripartire, per qualsivoglia posto, ma si possa ripartire. Il cielo e soprattutto il vento sono con noi, la rotta è verso Mikonos che lasciamo a nord e poi il grande salto verso Ikaria che raggiungiamo con mare bellissimo. Navigando sottovento, protetti dalle montagne a strapiombo e alla cui base ci sono candide spiaggiette sassose possiamo finalmente ripiegare le cerate. Alle 13.00 ci fermiamo in un approdo orribile per mangiare qualche cosa: 2 chilometri in salita per trovare solo un panificio. Scopriremo poi che a distanza di sole 2 miglia c’è un porto accogliente con baretti altrettanto ospitali. Alla sera arriviamo a Pitagorion sull’isola di Samos. Cerchiamo una camera per mare e per terra e finisce che ci accomodiamo per mare ovvero ancora in gommone. Meno male che siamo forniti di sapone che si usa con l’acqua salata ma certo che una doccia calda è un’altra cosa.

Al risveglio nessuno immagina il dramma dal titolo “Come sdoganarsi dalla Grecia per andare in Turchia”. Non so come ma dopo tre ore salpiamo in direzione Kusadasi dove arriviamo con qualche ora di piacevolissima navigazione. Per fare dogana bisogna ormeggiare alle banchine alte quattro metri dove attraccano i traghetti; riesco a salire in quanto molto intelligentemente hanno piazzato delle passerelle e delle scalette ad uso delle piccole barche; mi avvio verso gli uffici della dogana e con il mio inglese valtellinapolemilanese tento di spiegare che arriviamo dalla Grecia ed intendiamo entrare in Turchia. Poiché l’inglese del doganiere turco è equivalente al mio vi lascio immaginare il risultato. Fatto stà che dopo circa mezz’ora si muovono in due per venire a vedere il mezzo che io dicevo di avere; sportosi dalla banchina appare un gommone di 5 metri scarsi e per fortuna si staglia sul viso dei doganiere anche un sorriso amichevole che sfocia, dopo l’indicazione sulla mappa il nostro percorso, in una fragorosa risata. Le pratiche d’ingresso si sono svolte per fortuna in tempi brevissimi ed inizia la navigazione in acque turche.

A Kusadasi abbiamo appuntamento con Italia e Anna, moglie e cognata di Nuccio, arrivate in aereo. Ci ritroviamo in un bel ristorante sul mare accogliente e pulito, come tutti quelli che abbiamo frequentato sulla costa turca. Il porto è al livello dei migliori marina italiani con tutti i servizi in banchina, benzina compresa; per gli spostamenti a terra usiamo i taxi che sono numerosissimi e a costi da biglietto del tram. Dopo tre giorni ripartiamo verso sud lungo una costa selvaggia costellata di villaggi nuovissimi ma completamente disabitati; forse diventeranno delle future strutture turistiche; una spiaggia dai colori particolari ci invita ad una sosta per un bagno rilassante; a monte della spiaggia c’è un posto di guardia dell’esercito turco e Nuccio vi si avvia per informare chi siamo e cosa facciamo; alla fine delle nostre spiegazioni, in segno di benvenuto, sparano in aria qualche raffica di fucile poi due soldati, uno in mutande e anfibi, l’altro con addosso solo mezza divisa, scendono alla spiaggia e si fanno fotografare con noi e con il nostro gommone; ci accordano anche il permesso di montare la tenda a terra ma quando è il momento di sbarcare le nostre attrezzature un vago e impalpabile senso di insicurezza ci pervade e desistiamo. Raggiungiamo Gulluk dove un ormeggio ben protetto e un albergo spartano ma più che decoroso ci accolgono. Ceniamo a base di pesce, beviamo anche bene e spendiamo la bellezza di € 5,68 …. In quattro. Siamo a corto di carburane e il distributore più vicino è a 25 km ma per fortuna il proprietario dell’albergo ci offre il suo furgoncino e risolviamo alla grande.
Inizia un’altra giornata di navigazione; la costa è sempre costellata di villaggi fantasma, il mare si mantiene sempre buono e ci consente di mantenere la nostra media che prevede per la sera l’arrivo a Bodrum dove troviamo un marina dotato di tutti i conforts (sembra di essere in Costa Azzurra) così come l’appartamento che affittiamo per la notte.

Il viaggio è al giro di boa, bisogna riguadagnare terra greca e si presenta quindi la necessità di fare dogana per uscire dalla Turchia; sei ore dura la tragedia il cui punto fondamentale verte sulla somma che vogliono farci pagare come diritto di navigazione ma nessuno sa quanto e a chi. Non so come e perché ma alla fine ci fanno firmare una valanga di moduli ce li timbrano e ci danno l’ok per lasciare le coste turche, cosa che facciamo al più presto. La dogana greca a Kos per fortuna è velocissima e la giornata si conclude a Pserifos davanti a un branzino di tre chili divorato in una trattoria in riva al mare; la località assomiglia “all’isola che non c’è” ed è di un rilassante impensabile con un piccolo porticciolo peschereccio ben ridossato dove il flusso turistico è inesistente. Inesistente è anche il carburante per cui dobbiamo fare tappa a Leros; sull’isola vi è una base della Marina Militare Greca e quindi bisogna fare attenzione a dove si attracca ma in fondo alla baia principale vi è un ormeggio comodo con relativo albergo stile anni ’30 come d’altronde è l’architettura di tutto il paese lasciata in eredità dalla dominazione fascista. Al solito il distributore di carburante è a 2 Km ma per fortuna un taxista gentile ci ha aiutati; peccato che abbia voluto dimostrare tutta la sua abilità nella guida veloce che quasi finiamo in mare.

Si riparte all’alba con un venticello fresco che per ora non alza il mare, la meta è Amorgos e la traversata non è delle più semplici in quanto lungo la rotta ci sono solo isole piccolissime senza ridossi e completamente disabiate. Superiamo Levita, raggiungiamo Kinaros, vediamo in lontananza Amorgos che stimiamo di raggiungere nel giro di 30- 40 minuti. In realtà impieghiamo più di due ore poiché si è alzato un vento micidiale che solleva turbinii d’acqua, la nebulizza e ce la spara in faccia sotto forma di migliaia di spilli. Amorgos è un’isola stretta e lunga disposta da est a ovest e noi intendevamo navigarne la costa nord ma il vento e il mare non danno tregua e ci costringono una volta raggiunta la punta più a est a ripararci lungo la costa sud dove protetti da montagne alte circa 900 metri abbiamo finalmente un poco di tranquillità e appena possiamo ci fermiamo per una pausa. A 500 metri da terra il mare è bianco di frangenti mentre subito sotto costa il mare, protetto dalle montagne, è praticamente piatto. Siamo ormeggiati vicino a barche di pescatori e ciò ci fa pensare di poter abbandonare il gommone e salire al santuario di Hozoviotissa per una rapida visita. Dall’alto il colpo d’occhio è formidabile e ci ripaga della lotta contro gli elementi. Per raggiungere Katapola, dobbiamo doppiare la punta ovest dell’isola al di là della quale troviamo un mare con onde al traverso lunghissime ma non frangenti per cui non esistono problemi. Arriviamo in porto con 6 o 7 litri di benzina e scopriamo che sull’isola, malgrado le assicurazioni, non c’è carburante però ci confermano che la bettolina con i fusti di benzina arriverà domani. La canzone “arriverà domani” la sentiamo per cinque giorni, cinque giorni di incertezza e di interrogativi sul da farsi, di tensione ma alla fine, come nelle favole ci salvano tre ragazzi toscani che saputa della nostra storia ci cedono quasi completamente il carburante del loro Ford Transit casualmente a benzina. Riusciamo cosi a ripartire alla volta di Naxsos dove con la benzina facciamo quasi il bagno; navighiamo a sud di Paros alla volta di Sifnos e nel canale tra le due isole il meltemi incomincia a darci fastidio ma nella baia di Vathi troviamo il paradiso. Da qui in avanti sarà un girone infernale: Sifnos, Serifos, Kithnos, Kea, Capo Sunion. Cinque giorni di lotta dura con navigazione solo per 3 o 4 ore la mattina presto spesso per andare solo da sud a nord della stessa isola, col problema del dove dormire in località che spesso non avevano neanche una trattoria. Almeno non ci sono problemi di benzina in quanto tutte le località sono ben attrezzate.

Arrivati a Capo Sunion possiamo finalmente ripiegare le cerate e la navigazione prosegue senza problemi fino all’ingresso del canale di Corinto che passiamo stranamente senza attese. Nel golfo di Corinto facciamo tappa a Kiato dove il porto peschereccio è sicuro, la benzina abbastanza comoda ed è dotato di alberghi normali. Vista l’accoglienza dell’andata rifacciamo tappa a Trizomia dove il solito albergo ci ristora; si continua con tappa a Lepanto dove un rifornimento con benzina in banchina in Grecia non si può perdere. Alla sera dormiamo nelle accoglienti camere del Rosengarten di Meganisi. Qui abbiamo il primo inconveniente tecnico: se ne va in fumo il motorino di avviamento; ne da conferma il meccanico di Corfù che contattiamo quando arriviamo il giorno dopo: tutto sommato è il minore dei mali poiché manualmente il motore parte sempre bene, anche a freddo. Il secondo e più grave inconveniente è in agguato: si rompe il cavo del gas. A Erikoussa di sostituirlo non se ne parla nemmeno e con il filo dei freni di bicicletta interveniamo sul gas in modo manuale e in queste condizioni ci facciamo tutto il canale d’Otranto.

 

 

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