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1973
- RAID MARE 7
da Genova a Tangeri
di
Giancleto Toschi
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La
premessa:
Il RAID "MARE 7" è stato effettuato nel 1973
con partenza da Genova il 5 agosto. Dopo aver costeggiato Italia-Francia-Spagna-Marocco
toccando Tangeri in Atlantico, è rientrato a Genova riportando
l'intera attrezzatura, con un traghetto preso a Malaga. Un totale
di 58 giorni di crociera con equipaggio di 2 persone, che si dimezzerà
a metà itinerario, una tendina ed attrezzatura per il campeggio;
apparati radio per collegamenti sperimentali ed altro ancora.
La veridicità ed autenticità del RAID è stata
testimoniata dai timbri sul Carnet "MARIO AGUSTA" consegnato
e successivamente controllati, a tale scopo, dalla FIM - CONI.
La
scheda:
Gommone DOMAR 4,80 con chiglia rigida (cioè in legno)
e piani d'acqua in trevira. Un motore F.B. CRESCENT da 35 hp.
con elica adeguata ed una di riserva; un secondo F.B. JHONSON
da 3,5 hp, con elica antialghe, di soccorso e manovra.
Nel 1975 la Editrice Bietti ha pubblicato il libro a mia
firma, Giancleto Toschi: "MARE 7" - da Genova a Tangeri,
2.500 chilometri in gommone - pagg. 315 e fotocolor d'ambiente
e subacquee.
Il libro è stato presentato, tra l'altro, nelle sale
del CLUB DEL GOMMONE che, in quell'occasione mi ha conferito,
con mio grande piacere, titolo e tessera di "Socio ad honorem".
Tessera che tuttora conservo e, all'occorrenza, esibisco.
Ho pensato e scelto di riproporre nel Sito del CLUB DEL GOMMONE,
rispondendo all'invito di Virginio Gandini, un argomento di
colore. Di conseguenza gli ho inviato, in estratto, ed a ricordo
di quella bella serata di tanti anni fa, alcune pagine della
navigazione di "MARE 7", riprese dal libro, nei giorni
compresi tra il 22 ed il 26 agosto 1973 quando l'equipaggio
era ancora al completo. Credo che di colore ve ne sia a sufficienza!
Giancleto
Toschi
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I
GOMMONAUTI DEL SECOLO SCORSO
Quelli degli anni '70
Inizio,
5 agosto 1973
(Genova)
...estratto
22 agosto 1973 (Barcellona)
"Radio
Manolo" ha detto la sua. E' stato un verbo meterologico di
lusso e pieno di sussiego, quello del marinero del blasonato Real
Club Nautico. "Andate tranquilli, andate tranquilli, bel
tempo, bel tempo
"
Ed ora navighiamo in un mare di guai. Un inesorabile mare di prua
ci sbatte contro insaccandoci ad ogni colpo.
La nostra tappa, secondo il piano nautico, dovrebbe concludersi
con un campeggio-nautico lungo le rive dell'Ebro. Una tappa lunga,
ma necessaria per recuperare almeno in parte i giorni persi a
Barcellona e ad Ampuriabrava, ma a quanto è dato a constatare
non so quanto e come il mare lo consentirà.
Il vento ci sbatte in faccia, lo sentiamo fischiare nelle orecchie
mentre la schiuma incanutisce le onde.
A forza di cozzare ho l'impressione di essere attaccato ad un
martello pneumatico che non riesce a penetrare nonostante mille
tentativi. Sono fradicio, ancora pieno d'entusiasmo, ma sta incrinandosi
la fiducia riposta in "Radio Manolo".
A Garraf (un minuscolo porticciolo) un marinaio, con filetto dorato
sulla visiera, ci giura che il vento calerà e che tutta
quella buriana è normale col bel tempo. E dice: "Andate,
andate tranquilli, bel tempo, bel tempo
"
Invece il vento non è dello stesso parere e rinforza.
Sulle spiagge gli stabilimenti balneari hanno alzato sull'alto
pennone la bandiera rossa, pericolo, e solo le barche a vela si
divertono in strette boline. Noi, siamo zuppi, da ore.
Ogni onda è una secchiata d'acqua salmastra che cola lentamente
tra la pelle e la muta infuocata dal sole a picco.
Gli occhi sono due fessure arrossate dal sale e abbacinate dai
riflessi. Un maledetto inferno..
La bussola per lo sconquasso per ben tre volte si è svitata
dai supporti ed ho dovuto fermarmi per riavvitarla.
I nostri sifoni continuano a scaricare acqua nella scia mentre
il carico si assesta in continuazione sbattendo tra paglioli e
tubolari.
Una vera fortuna che vi sia la protezione dello spesso foglio
di plastica ad evitare danni..
A Tarragona sgusciamo nel porto perché quel mare tremendo
ci ha succhiato miscela a più non posso mandando all'aria
le previsioni sul consumo.
L'acqua cheta del bacino protetto è tale quale una liscia
corsia d'autostrada dopo una lunga corsa su una sconnessa strada
bianca.
Accostato ad un molo carica un mercantile che sventola il tricolore:
sull'alta poppa si legge "Capo Miseno".
Preceduti da miriadi di muggini che "boccheggiano" in
superficie creando stilizzate ma mobili figure guerresche che
fanta-ricordano, in capriccio immaginativo, il cuneo di Alessandro
o l'agguerrito quadrato degli opliti, attracchiamo al Club Nautico
di Tarragona accanto ad una curiosissima e variopinta imbarcazione.
E' armata a ketch e con lunghezza (fuori tutto) di due metri e
venti.
Il gallonato comandante, costruttore ed armatore, è uno
svizzero dalle numerose primavere e il nome della barca è
"Bernina" in ricordo di una sentimentale scalata.
A sentir lui
con quel veliero ha girato mezzo Mediterraneo e dice di pensare
a Capo Horn!
Comunque siano le cose, batte bandiera Svizzera!
A Tarragona, per la prima volta, non troviamo benzina sul molo,
al Club ci possono offrire solo una doccia e il solito riconoscimento
Agusta.
Finalmente la verità. I marinai ci assicurano che il mare
non diminuirà e che dovremo ancora combattere sino a Cabo
de Salou, poi cominceremo a sentire la protezione dell'ampio golfo
di S. Jorge alla cui estremità sud sfocia il delta dell'Ebro.
A dir poco ancora trenta miglia di sofferenza. Dio come odio la
"Costa Dorata".
Riprende
la cavalcata. Spruzzi e bestemmie.
Maurizio è piegato in due, testa sul ponte, afflitto da
una furiosa nevralgia e la nostra farmacia chissà dov'è
finita in questo sconquasso. Impossibile rintracciarla.
Dopo Cabo de Salou entriamo nel porto di Cambrils, importante
rifugio per pescherecci, e al locale Club Nautico ci invitano
a rifornirci ad un distributore situato sulla spiaggia ghiaiosa
ed acquistiamo un tubetto di Optanidol.
In lontananza si alzano due alte ciminiere.
Sono sempre là, irraggiungibili, col pennacchio di fumo
disperso dal vento mentre il motore, tranquillo nella buriana,
frulla l'acqua in candida scia. Ancora una volta ci troviamo soli
a navigare; dopo Tarragona ogni imbarcazione è svanita.
La testa di Maurizio è ora eretta e attenta. Finalmente
abbiamo le onde al traverso.
Forza, stringiamo i denti, forse ce la facciamo. L'Ebro, che fluisce
calmo e pacifico, ci aspetta.
Per tutta risposta vengo sommerso da un frangente e da un contraccolpo
che per poco non mi sbalza. Rido ed inghiotto acqua salata; serro
la bocca.
Aggrappato al volante-timone e coi muscoli dolenti mi sembra di
essere in salamoia dentro la muta rubino.
Appare un porto, ci guardiamo in faccia interrogativamente perché
il morale sta scendendo a pagliolo, no, proseguiamo perché
dopo l'ultima esperienza di Barcellona vogliamo piantare la tenda
lontano dalla civiltà, è una promessa che ci siamo
scambiata quando siamo usciti dai "carrugi" (di Barcellona).
Planiamo vicino alla riva perché ci sembra che il mare
sia meno violento.
Un bianco fanale diroccato svetta e al suo fianco si apre uno
stretto fiordo.
E' quello che, inconsciamente, data la stanchezza, cercavamo:
la tranquillità, la terraferma, il mangiare, un giaciglio.
Noi abbiamo trovato e l'Ebro può attendere, Cabo de Tortosa,
epicentro del delta, è a poche miglia.
Facciamo scivolare "Mare 7" nell'acqua calma sino in
fondo al fiordo e lo fissiamo a due grossi massi, come ad una
greppia, coprendolo con il tendalino. I nostri complimenti,oggi
si è comportato magnificamente.
Con il cielo arrossato da uno splendido tramonto, ci abbandoniamo
nella canadese.
23 agosto 1973
Ci svegliamo convinti che in giornata si debba rimontare l'Ebro.
Maurizio si è fissato. Vuole attendere alla vita delle
cavedini
Scivoliamo dalla canadese per sorbire il caffè, la solita
calda sbobba molto zuccherata che si tracanna come una droga per
ravvivare il faticoso accordo uomo-gommone. E' il momento di rivolgere
l'attenzione al canotto. Uno sguardo prima distratto, poi attento,
quindi disperato. Ci cadono le braccia, non riusciamo a spiccicar
parola.
Il naso, il
grosso naso di "Mare 7" che ieri aveva spavaldamente
affrontato le onde, ora giace afflosciato come un cencio.
Il tubolare di prua è sgonfio. Resta a galla grazie a quelli
laterali.
Nell'intimo si insinua lo sconforto, mentalmente ripercorriamo
l'iter
Montato a Genova, riparato a Diano Marina, ad Imperia,
all'Isola Margherite, ad Ampuriabrava
ed ora siamo daccapo
la fatica di Sisifo
constatiamo il guasto.
Dapprima non riusciamo a capire, poi tutto risulta chiaro.
E' colpa dell'elica, capiamoci, dell'elica di scorta, che liberatasi
dal suo involucro di cartone per i batti e ribatti del giorno
precedente, è scivolata davanti all'asse orizzontale in
cui s'innesta il longarone della chiglia che, davanti ad essa,
lascia un ridottissimo spazio. Un minuscolo triangolo isoscele
che ha come terzo lato l'asse supporto del reggi chiglia.
Il solo ed unico luogo irraggiungibile dallo spesso involucro
di plastica sistemato ad Imperia.
Caso vuole che una pala dell'elica si sia insinuata proprio in
quello spazio, nel triangolo, penetrando uniformemente nei due
lati uguali dei tubolari. Due abrasioni delle dimensioni di cento
lire che fanno defluire l'aria.
E' incomprensibile come il tubolare abbia resistito sino all'attracco
senza afflosciarsi.
Per un verso la fortuna è stata dalla nostra parte, se
si fosse sgonfiato i mare durante i salti e i rimbalzi, saremmo
stati a mal partito, ma ora, davanti alla prospettiva di una simile
riparazione, come facciamo?
Colla e reagente sono quasi esauriti e per rimediare al danno
occorrerebbe un laboratorio specializzato.
Subentra lo sconforto e la disperazione, vorremmo abbandonare
tutto, rientrare in Italia e dedicarci
all'alpinismo.
Ci imponiamo la calma e decidiamo di "tentare" la riparazione.
Maurizio affila gli arnesi mentre io mi reco in una vicina abitazione
per chiedere l'uso di una macchina da scrivere.
E' un espresso alla DOMAR per sollecitare l'invio, all'aeroporto
di Malaga, di pezze e colla.
Uno sgangherato camion mi trasporta in città per imbucare
la lettera.
Dalle chiacchiere dell'autista deduco che siamo approdati a Port
Estany, sulla Costa Dorata e che il fiordo era in passato il porto
della flottiglia di pescherecci attualmente alla fonda all'Amettla
de Mar, al riparo delle lunghe ed alte dighe foranee.
Cabo Tortosa e il delta dell'Ebro sono lì a portata di
mano. Il pomeriggio lo trascorriamo senza allegria, sotto un solo
cocente, a scartavetrare il tessuto del gommone e ad applicare
pezze, poi, dopo un pranzo frugale ci rifugiamo nel nostro tendino
distrutti dalla fatica e dagli eventi. A domani la grande verifica.
E' il si o il no. Terrà o non terrà l'aria pompata?
24
agosto 1973
In silenzio ci affaccendiamo attorno al canotto come
tecnici intorno
ad una Ferrari ferma ai box.
Iniziamo la
trasfusione
d'aria. Il grande naso della prua si gonfia lentamente
nel silenzio tendiamo l'orecchio.
Un sibilo ci avverte che le perdite sussistono. Maurizio stravolto
dalla fatica, zoppicante per un profondo taglio in un piede e
dolente per il fegato in serio disordine a causa della robaccia
ingurgitata a Barcellona, sconfitto vaga con lo sguardo.
Io mi scuoto subito, non voglio darmi per vinto e cerco un rimedio.
Ritorno da chi mi aveva messo a disposizione la macchina da scrivere
e a chiare parole espongo la situazione.
Ho fatto 13 al Totocalcio. Il mio interlocutore è il Senor
Pons, grande marinaio di Mahon, l'hombre de Mahon, che compresa
la situazione ci mette a disposizione non solo il suo garage-
officina, ma ci costringe a trasferirvi armi e bagagli avvertendo
che il cielo, greve, rumoreggia e l'acquazzone come puntualmente
avverrà, sta per precipitare. Errata corrige: gli acquazzoni
con una serie inedita di fulmini, lampi e tuoni.
Sotto il suo sguardo vigile smontiamo il canotto separando ogni
singola componente ed adagiando i tubolari sgonfi sul pavimento..
Per rappezzare i due buchi alla perfezione non c'è scampo,
bisogna scollare la tela fissata all'asse reggi-chiglia e quindi
nuovamente incollarla, ma
di colla ne abbiamo ormai pochissima.
Informo il nostro ospite della situazione precaria e dei nostri
timori.
Pons scatta deciso. Arma la mano destra di una enorme pinza e
sfoderando un sorriso alla no se perocupe separa in un sol colpo,
con secco rumore, il tessuto dal legno. Mi sento mancare.
E' fatta, forse ci siamo giocati il futuro del Raid.
Al calar della sera il nostro anfitrione ha assunto ai nostri
occhi vesti disneyane: quelle di Archimede Pitagorico.
E' uno che ricerca le
comodità. Elettricamente parlando
Port Estany è priva di corrente. Il nostro eclettico genialoide
ha supplito alla carenza comunale adattando un generatore di autoblinda,
residuato della guerra di Spagna, a un diesel 12 hp., di almeno
trent'anni, recuperato da uno scafo affondato.
Ad ogni scoppio
fa tremare la casa con gemiti strutturali che la scuotono dalle
fondamenta. E tutto questo per accendere otto lampadine, otto
e non di più. Ma se vuoi fare la doccia con l'acqua del
pozzo - non vi è nessuna pompa elettrica attivata dal diesel
- entra in funzione il super decibel a due tempi da mezzo cavallo
(mi ha chiesto perché le galline hanno smesso di fare uova
e le arnie sono rimaste deserte), che aspira direttamente dal
pozzo. La serie potrebbe allungarsi in una lista di ingegnose
trovate atte a
facilitargli la vita.
A sera abbiamo rimesso nuove pezze. Pernottiamo nel garage, su
sedie a sdraio, tra automobili, attrezzature nautiche, reti.,
nasse, e una gran puzza di colla. Non avevo mai dormito in un
garage e in quelle condizioni
ma sempre meglio che in (certe)
cameras!
25
agosto 1973
Maurizio non sta bene, il fegato lo fa impazzire, però
il piede, tolto dall'umido pagliolo, si sta rimarginando. Si fa
forza pere dedicarsi al gommone. Lo gonfiamo aiutati dall'hombre
pitagorico. Siamo felici.
Le pezze sui tubolari ora tengono alla perfezione, e non si sente
più l'acuto fischi dell'aria che sfoga, ma l'altra faccia
della medaglia è che abbiamo quasi del tutto esaurito colla
e reagente mentre l'asse scollato pende inerte. Con cipiglio preoccupato
inventariamo quanto ci resta. Pons ci dice nuovamente: "No
se preoccupe" e sparisce dalla nostra vista .
Dopo breve riappare mostrandoci trionfante un tubetto di Araldit
della CIBA. Combina gli elementi in un recipiente e ci aiuta a
spalmarlo sull'asse e sui lembi della tela. Completa il lavoro
personalmente serrando il tutto con tre morsetti che fanno forza
su tre asticelle di compensato, necessarie per comprimere in maniera
omogenea l'intera superficie del tessuto contro l'asse reggi-chiglia.
L'operazione di restauro è terminata, non rimane che l'attesa.
Almeno mezza giornata prima che si asciughi il chimico intruglio
cementoso a prova di bomba. Nel tardo pomeriggio allentiamo i
morsetti e pompiamo i tubolari in un'aria di suspence.
Il sorriso
riaffiora sulle labbra. È tutto OK. Nessuna perdita e l'asse
reggi-chiglia si è
cementata.
Dal garage ci spostiamo sulla riva del fiordo ove prendiamo ad
allestire "Mare 7" non so se per la quarta o quinta
volta (abbiamo perso il conto) , e scaramanticamente non vogliamo
ricordarlo.
Sotto il cielo incessantemente percorso da neri nembi e opprimente
d'afa, ronzante di moscerini, siamo immersi nel lavoro.
Curiosi, alcuni pescatori si avvicinano e quando comprendono che
siamo diretti a Cabo de Tortosa ci raccomandano di affrontare
la navigazione con tempo buono perché lì, al delta
dell'Ebro, il vento del Nord è tremendo e d'inverno tocca
anche i settanta nodi
Finalmente un altro motivo di preoccupazione.
26
agosto 1973
Brindiamo con White Label ghiacciato alla prossima partenza. E'
Pons, l'Archimede di Mahon, che offre in spontanea amicizia mentre
nel cielo non smettono di rincorrersi i nuvolosi carichi di pioggia.
Ci assicura che non dobbiamo temere, il nostro Very Hight Friend,
per la brezza tesa che proviene da terra. Dal Nord. Il suo augurio
è quello di sempre: "Buena suerte" , ci invia,
e allontana con una spinta decisa il gommone da riva. Il motore
a cui ho riservato la consueta toilette, si mette in moto ed usciamo
dal fiordo di Port Estany agitando la mano e con il cuore pieno
di gratitudine.
Diciamola tutta: se non ci fosse stato lui, con le sue indubbie
qualità, probabilmente adesso non staremmo navigando verso
Cabo de Tortosa. Da "Mare 7", onore al generoso hombre
de Mahon. Al nostro traverso le brezza spira tesa da terra.
Rasentiamo le basse scogliere per avvertirla un po' meno ed avere
il mare calmo, ma tuttavia, quando un'onda, per una frazione di
secondo solleva "Mare 7" sulla bianca scia si nota una
"Z". E' il vento che sposta il canotto.
Abbandoniamo il riparo per attraversare, con prora Sud, il golfo
di S.Jorge. Alle nostre spalle si è dissolto il bianco
fanale di Port Estany. Nell'orizzonte limpido è visibile
Cabo de Tortosa.
A proposito di Cabo de Tortosa mi avevano raccontato che durante
una trasferta, da Barcellona ad Alicante, una trentina di autovetture
trainanti barche, allestite per partecipare ad una regata, volevano
percorrere la rotabile che taglia la pianura dell'Ebro, da La
Ampolla a S. Carlos de la Ràpita, senza tener conto della
manica a vento sibilante nell'aria.
Ebbene, nello spazio di dieci chilometri auto, carrelli e barche
erano state tutte rovesciate nei fossati.
Sto pensando a questo, quando sul mare deserto - nessun'altra
barca in vista - vedo spiccare una macchia rossa che lentamente
si agita. E' una richiesta di soccorso.
Senza pensarci
un solo secondo aggiustiamo su di essa la rotta dando tutto gas.
Invocano aiuto da un gommone sbandierando alta su un remo una
giubba sanguigna. Siamo fianco a fianco.
Sono tre pescatori su uno Zodiac ed il malandato Evinrude 9,5
hp. si è rotto. Si è tranciato lo spinotto e loro
sono totalmente privi di ferri e di pezzi di ricambio. Che esistano
in commercio razzi ed altre segnalazioni, forse lo hanno letto
da qualche parte.
Siamo ormai prossimi a Cabo de Tortosa e loro sanno che se abbandonano
l'ancoraggio, con quel vento si ritrovano in alto mare.
A giro d'orizzonte non si vedono altre barche.
Senza di noi sarebbero nei guai perché l'unica soluzione
è di trainarli nel porto più prossimo, La Ampolla,
cinque o sei miglia a Nord.
Gettiamo la cima che, al secondo tentativo, viene assicurata alla
maniglia di prora dello Zodiac e a piccolo motore dirigiamo su
La Ampolla con il vento freddo che ci frusta la faccia. Sulla
scia, muti come pesci, navigano i tre pescatori.
Li traino nel porto
non dovevano avventurarsi in mare senza
le dovute precauzioni.
Prima di riguadagnare la cima cerco di farmi capire: "Una
maschera napoletana diceva che per mare non ci sono taverne".
Hanno compreso. Per tutta risposta ci offrono la loro pesca, un
sarago. Servirà a rallegrare la taverna di bordo.
Come si ricorda, sempre per la storia delle cavedini e del cucchiarino,
volevamo risalire l'Ebro, ma ora ci è impossibile, dobbiamo
raggiungere direttamente S. Carlos de la Rapita a Puerto de Los
Alfaques. Siamo rimasti a corto di miscela.
A Cabo de Tortosa tra Cala Norte e Cala Sur, l'acqua diventa limacciosa
per il deflusso dell'Ebro e banchi di sabbia s'individuano qua
e là per lo schiumoso frangere delle onde che ci colpiscono
al traverso. E' indubbio si balla.
La vicina costa, priva di vegetazione, biancheggia bassa e sabbiosa.
Mi ricorda l'inferno dantesco, quello delle litografie. Saltuariamente
appare stilizzata una figura che si affretta a sparire.
Un camping con roulottes parcheggiate, ma deserto. Un cavallo
nero caracolla e svanisce chissà dove.
Un senso d'oppressione mi afferra, una sensazione mai provata
prima.
Quella grande e disperata solitudine aperta alla furia della natura
mi incita a scappare, a fuggire via.
Il mare ingrossa e il vento sibila sventagliando dalla Playa del
Trabucador che chilometricamente si prolunga sino Puerto de Los
Alfaques. Con sollievo vi entriamo ed attracchiamo al Club Nautico
di S. Carlos de la Rapita.
La miscela era giunta agli sgoccioli, ne era rimasta ancora per
poche miglia. A S, Carlos ho potuto rifornirmi grazie ad un francese
che mi ha accompagnato con la sua Peugeot ad un distributore che
dal molo dista un paio di chilometri.
In faccia alla cittadina, sull'altra sponda di Puerto de Los Alfaques,
si individuano fitte e lussureggianti macchie in un ampio arco
di verde. Calcoliamo di raggiungerle per trascorrervi la notte.
In un balzo attraversiamo lo specchio d'acqua della baia. Accostiamo
alla prima,. quella più ad Ovest, ma un basso fondo ci
impedisce l'avvicinamento. Non convinti ritentiamo sulla seconda
isola di verde collegata alla precedente da un'affiorante lingua
di rena.
Col motore al minimo, cautamente ci avviciniamo nell'acqua bassa,
non più di mezzo metro.
Ad un tratto l'elica del 35 hp. si blocca, è avvinghiata
a un banco di piante acquatiche che si sono avviluppate a stretta
matassa.
Invano si prova a districare l'imbroglio dall'interno del canotto.
Non vi è scelta, bisogna liberarla dall'esterno.
Alla leggera, senza pormi pensiero, mi preparo a calarmi nel bassofondo
per effettuare il semplice lavoro, più che mai seccato
per il bagno fuori programma. Salto dal canotto.
I piedi nudi toccano il fondo tra le viscide alghe, ed invece
di trovare consistenza sprofondano in una melma tenace.
Spaventato mi aggrappo al corrimano di "Mare 7", l'acqua
è al torace. Grido a Maurizio: "Le sabbie mobili
"
Maurizio abbandona ogni cosa e si precipita in mio aiuto, ma dopo
alcuni frenetici tentativi è evidente la sua impotenza:
sono affondato troppo per potermi strappare dalla sgradevole situazione.
L'unica possibilità resta il motore, il 35 hp. a pieno
regime.
Faccio scorrere con precauzione il canotto sino a sbrogliare con
una mano l'elica dal maledetto groviglio di erbacce.
L'elica è libera. Maurizio mi porge una grossa cima che
avvolgo a più giri attorno agli avambracci e ai polsi.
Il Crescent, con la marcia in folle è in moto e fra pochi
istanti dovrò staccarmi da esso spingendolo poco discosto
in un circoscritto spazio libero da piante acquatiche.
Non penso a nulla, sono tutto concentrato nel prossimo sviluppo
dell'azione.
Gli chiedo calmo: "Pronto?". "Sì",
mi risponde.
Calibro la spinta del canotto che docile scorre nello spazio pulito.
Non più sostenuto vado giù, l'acqua è alle
ascelle e lentamente sale. Ecco il "clack" della marcia
che si innesta, poi la cima si tende dolcemente penetrando nei
polsi e trascinandomi in avanti, sott'acqua, quindi la bianca
schiuma dell'elica mi sbatte violenta sul volto, le vischiose
piante acquatiche mi schiaffeggiano a sangue.
Il ruggito del motore cresce, si fa più intenso. I polsi
son tutti un dolore. Un attimo di incertezza, non riesce a strapparmi
e
la forzata apnea incomincia a farsi affannosa. Per la mente passa
un solo incitamento: "Dai Maurizio, dai gas, ancora, ancora
"
Sembra abbia captato il mio pensiero, il motore aumenta un poco
i giri, lo sento, è al massimo, quanto basta per lentamente
estrarmi dalla morsa. E' fatta, non c'è altro da aggiungere.
Tutto bene quel che
Nudo come un verme, sciacquandomi dalla mota, risalgo sul canotto.
Là, dove stavo, è ora una sporca chiazza marrone
tra il verde adamantino delle piante acquatiche, unico evidente
ricordo dell'avventura
no, sbaglio, perché il mio
costume arancione galleggia proprio nel mezzo.
Senza esitazione, sotto lo sguardo aggrottato di Maurizio, ritorno
dolcemente in acqua senza toccare il fondo con i piedi, e a nuoto
vado a ricuperarlo. Per forza è l'ultimo del mio guardaroba!
Imparata la lezione e per scongiurare altri dispiaceri, solleviamo
il Crescent e proseguiamo con il 3 hp. Jhonson che ha l'elica
antialga. La terza isola verde è quella giusta per il Camping
Nautico e quindi per noi.
Dopo aver rizzato la tenda, sul prato ombreggiato da splendidi
pini, senza più pensare al passato, affamati, cuociamo
sarago e spaghetti della nostra taverna.
continua
sino
al 5 ottobre 1973. (Genova)
Giancleto
Toschi
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