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Dopo l'anno 1.000, nonostante le Crociate, la flotta navale dei Templari (che furono sciolti poco dopo il 1300) e i successivi modesti sforzi di una cristianità disunita e concentrata in giochi di potere, l'impero Turco allargò man mano i suoi possedimenti giungendo sempre più a minacciare l'Europa Cristiana. Nel 1453 cadde Costantinopoli (ultimo atto dell'Impero Romano d'Oriente), nel 1499 i Veneziani persero Lepanto (antica Naupatto), nel 1523 Solimano il Grande (Suliman II) conquistò Rodi, nel 1527 l'Ungheria finì sotto il dominio ottomano.
L'offensiva Turca assumeva sempre più l'aspetto di una manovra a tenaglia tesa a stritolare l'Europa: si pensi che l'impero della mezza luna arrivò sino a minacciare le porte di Vienna!. La prima battuta d'arresto avvenne con il fallimento della presa di Malta che fu strenuamente difesa dagli omonimi Cavalieri. Seguì, però, la caduta di Chio e Cipro. Nel Mediterraneo i Turchi con azioni di disturbo di "pirati" fiaccavano il commercio delle nazioni nemiche, in particolare tra la Spagna e l'Italia. Ben presto, presero di mira il naviglio della Chiesa che come tale rappresentava l'antagonista religioso per eccellenza - la cristianità, nonché, cercarono d'impedire poi l'espansione delle Repubbliche Marinare.

Le maggiori battaglie dove i Turchi avevano vinto:
- nel 1389 nel Kossovo contro i serbi;
- nel 1396 a Nicopoli contro i crociati guidati dal re d'Ungheria;
- nel 1414 a Negroponte contro i veneziani;
- nel 1417 a Valona;
- nel 1418 a Girocastro;
- nel 1430 a Salonicco contro i veneziani;
- nel 1453 a Costantinopoli mettendo fine all'Impero Bizantino;
- nel 1462 a Lesbo contro i genovesi;
- nel 1463 contro i greci dell'Impero di Trebisonda;
- nel 1463 contro i bosniaci a Jace;
- nel 1480 a Otranto contro gli italiani;
- nel 1521 a Belgrado contro gli ungheresi;
- nel 1523 a Rodi contro i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme;
- nel 1527 a Mohacs contro gli ungheresi;
- nel 1571 a Cipro contro i veneziani.

Nel 1529 avevano assediato gli austriaci a Vienna. Nella seconda metà del secolo XVI i Turchi dominavano la Grecia, l'Albania, la Serbia, la Bosnia, l'Ungheria, la Transilvania, la Moldavia e la Valacchia.

I paesi rivieraschi del Tirreno aggiunsero alle loro difese delle torri d'avvistamento, ma molti borghi marittimi furono abbandonati dalle popolazioni che si rifugiarono in città più grandi o sui monti. Purtroppo molti piccoli paesi in prossimità delle coste furono devastati con la susseguente deportazione degli abitanti in schiavitù.
L'audacia dei "corsari nord-africani", l'aumentare di casi di cristiani che si convertivano all'Islam e il pericolo ormai ben palese che l'intera Europa soccombesse, permise a Papa Pio V di far confluire in una "Lega Santa", tra gli altri, Veneziani e Spagnoli tutti per combattere il comune nemico. Nell'Agosto del 1571 si riunì a Messina la flotta cristiana sotto il comando di Don Giovanni d'Austria, fratellastro di Filippo II di Spagna.
La flotta cristiana
Il comando militare della flotta venne affidato a Giovanni d'Austria, figlio naturale di Carlo V.
Suoi luogotenenti furono:
- Marcantonio Colonna, comandante della flotta pontificia.
- Sebastiano Venier, comandante della flotta veneziana.

La flotta era costituita da:
- 104 galee sottili sotto il comando della Repubblica di Venezia; 54 erano con equipaggi provenienti da Venezia, 30 da Creta, 7 dalle Isole Ionie, 8 dalla Dalmazia, 5 da città di terraferma.
- 6 galeazze sotto il comando della Repubblica di Venezia. Le galeazze erano munite di 40 o più cannoni, in grado di sparare palle da 13 chilogrammi in coperta e da 23 chilogrammi da sottocoperta. Si trattava di vere e proprie fortezze galleggianti.
- 36 galee sotto il comando del re di Spagna con equipaggi di Napoli e Sicilia.
- 22 galee sotto il comando del re di Spagna con equipaggi di Genova; si trattava di navi prese a nolo dal finanziere Gian Andrea Doria.
- 12 galee mandate da Cosimo I dei Medici, armate ed equipaggiate dai Cavalieri dell'ordine pisano di Santo Stefano
- 12 galee dello Stato Pontificio, concesse dai veneziani ed armate ed equipaggiate a spese del papa.
- 3 galee dei Cavalieri di Malta.
In totale 195 tra galee e galeazze.
Gli equipaggi erano scarsi e costituiti essenzialmente da cristiani volontari e forzati. La penuria costrinse a mettere solo 3 uomini per remo.
La truppa era costituita da:
- 20.000 soldati a spese della Spagna;
- 5.000 militari al soldo di Venezia;
- 2.000 soldati pagati dallo Stato Pontificio;
- 3.000 volontari provenienti da tutta la Cristianità.
Complessivamente circa 30.000 uomini.
Le galee veneziane erano in buono stato, ma con pochi soldati. Don Giovanni d'Austria vi fece imbarcare 4.000 soldati italiani e spagnoli.
La flotta cristiana salpò il 16 settembre dirigendosi verso Corfù. Le navi esploratrici confermarono che la flotta turca era nei pressi del golfo di Lepanto.
La flotta turca minaccia l'Italia
I Turchi fin da febbraio avevano allestito una flotta di 250 galee e 100 navi da rifornimento e supporto.
I costruttori delle galee erano abili carpentieri rinnegati, che il Sultano ricompensava molto bene. Molti dei capitani delle navi erano anch'essi greci o veneziani rinnegati. Gli equipaggi non avevano grande esperienza. I rematori erano cristiani catturati e ridotti in schiavitù.
Il comandante della flotta era Mehemet Alì Pascià.
Parte della flotta andò a sostenere l'assedio di Famagosta a Cipro.
Un'altra parte della flotta si diresse verso Creta. 3.000 contadini cretesi furono uccisi. Ma l'ammiraglio veneziano Marcantonio Querini riuscì a respingere l'attacco e i Turchi si dovettero allontanare.
Veleggiarono verso Zante (odierna Zakynthos) e Cefalonia (odierna Kefallenia), dove catturarono 7.000 cristiani e li misero a remare sulle loro galee.
Poi le galee turche si diressero verso l'Adriatico.
I Turchi si impadronirono di Durazzo (odierna Durres), Valona (odierna Vlore), Dulcigno (odierna Ulcinj), Antivari (odierna Bar), Lesina (odierna isola di Hvar), attaccarono Curzola (odierna isola di Korcula).
Intanto le 80 galee del corsaro Uluj Alì attaccarono Zara e altre città della Dalmazia. Uluj Alì, chiamato anche Occhiali, era un pescatore calabrese rinnegato, divenuto Bey di Algeri.
Kara Hodja, un altro corsaro devastò il golfo di Venezia. Il rombo del cannone si udiva da piazza S. Marco.
Anche Corfù, ad eccezione del castello, venne conquistata dai musulmani.
A giugno il sultano Selim II, ordinò che la flotta si fermasse a Lepanto (odierna Naupaktos) in una piccola baia tra il golfo di Corinto e quello di Patrasso. Arrivarono i rinforzi da Negroponte (odierna isola Eubea): 2.000 spahis e 10.000 giannizzeri.
La flotta divenne una minaccia permanente. Da Lepanto la flotta turca avrebbe potuto attaccare la costa italiana in qualsiasi momento.

 

Prima della battaglia
Il 5 ottobre la flotta cristiana si fermò nel porto di Viscardo, non lontano dal luogo della battaglia di Azio. C'era nebbia e un forte vento. Le galee non potevano prendere il mare.
Un brigantino portò la notizia della caduta di Famagosta (Cipro) e dell'orribile fine inflitta dai musulmani a Marcantonio Bragadin, il senatore veneziano comandante la fortezza.

Il 1° agosto i veneziani si erano arresi con l'assicurazione di poter lasciare l'isola di Cipro. Mustafà Lala Pascià, il comandante turco che aveva perso più di 52.000 uomini nell'assedio, non mantenne la parola. I soldati veneziani furono imprigionati e incatenati ai banchi delle galee turche.
Venerdì 17 agosto Bragadin venne scorticato vivo di fronte ad una folla di musulmani esultanti. La pelle di Bragadin venne riempita di paglia. Il manichino fu innalzato sulla galea di Mustafà Lala Pascià insieme alle teste di Alvise Martinengo e Gianantonio Querini. I macrabri trofei furono poi inviati a Costantinopoli, esposti nelle strade della capitale ottomana ed infine portati nella prigione degli schiavi.


Il comportamento dei Turchi accrebbe la voglia di combattere dei cristiani.
I soldati della Lega Santa sapevano che la battaglia era decisiva per la Cristianità. In caso di sconfitta le coste di Italia e Spagna sarebbero rimaste esposte agli attacchi dei Turchi. L'impero Ottomano era pronto a colpire il cuore dell'Occidente. Roma era in pericolo.

Lo schieramento della flotta cristiana
Domenica 7 ottobre Giovanni d'Austria fece schierare le proprie navi in formazione serrata. Non più di 150 metri separavano le galee. Venne costituita una formazione a croce.
Al centro si pose Giovanni d'Austria con 64 galee. La sua nave ammiraglia era la Real. A fianco si pose l'ammiraglia del comandante veneziano Sebastiano Venier, una cui nipote era stata ridotta in schiavitù nell'harem di Costantinopoli. Sull'ammiraglia pontificia era Marcantonio Colonna. Sull'ammiraglia di Savoia il conte Provana di Leynì. Sull'ammiraglia di Genova Ettore Spinola. Due galeazze furono poste davanti al centro della flotta.
L'ala sinistra venne affidata principalmente ai veneziani sotto il comando di Agostino Barbarigo. Al lato più estremo, più esposto ai tentativi di aggiramento, si pose Marcantonio Querini. Davanti alle galee veneziane furono inviate due galeazze al comando di Antonio e Ambrogio Bragadin, parenti del senatore scorticato vivo.
All'ala destra si schierarono galee e combattenti di diverse nazionalità, sotto il comando del genovese Gian Andrea Doria. Erano presenti anche molti volontari tra cui l'italiano Alessandro Farnese, il francese Crillon, l'inglese Sir Thomas Stukeley, l'esiliato Giacomo IV, duca di Naxos. Due galeazze veneziane furono poste davanti al settore sinistro. In totale davanti alla flotta cristiana le galeazze erano sei e come vedremo avranno un ruolo determinante sulle sorti della battaglia.
La retroguardia venne posta sotto il comando di Santa Cruz con tre galee dei Cavalieri di Malta.

Lo schieramento dei Turchi
I Turchi si disposero a mezzaluna.
Vennero schierate 274 navi da guerra, di cui 215 galee.
I Turchi avevano 750 cannoni.
Il centro turco, al comando diretto di Mehmet Alì Pascià, era costituito da 90 galee. Di fronte ai veneziani era Muhammad Saulak, detto anche Scirocco, governatore dell'Egitto, con 55 galee.
Uluj Alì, il rinnegato Occhiali, con 90 galee e galeotte, era di fronte a Gian Andrea Doria, che a Tripoli era dovuto fuggire di fronte al corsaro.
Una forte riserva, comandata da Amurat Dragut, era dietro la linea delle galee turche.
Mehmet Alì Pascià era a bordo della Sultana, su cui sventolava il vessillo verde e su cui era stato scritto 28.900 volte a caratteri d'oro il nome di Allah.

 

La battaglia
La flotta cristiana bloccò l'ingresso del golfo di Lepanto. I Turchi, obbedendo all'ordine impartito dal Sultano Selim II, accettarono la battaglia.
Con un rumore assordante iniziarono l'avvicinamento suonando timpani, tamburi, flauti. Il vento era a loro favore.
La flotta cristiana era nel più assoluto silenzio. Don Giovanni e il comandante pontificio, Marcantonio Colonna, imbarcatisi su due piccoli e veloci legni, percorsero tutto lo schieramento, ricordando la natura divina della causa per cui combattevano e che il Crocifisso era il loro vero comandante.
Quando le flotte giunsero a tiro di cannone i cristiani ammainarono tutte le loro bandiere e Giovanni innalzò lo stendardo con l'immagine del Redentore crocifisso. Una croce venne levata su ogni galea e i combattenti ricevettero l'assoluzione secondo l'indulgenza concessa da Pio V per la crociata.

Il vento improvvisamente cambiò direzione. Le vele dei Turchi si afflosciarono e quelle dei cristiani si gonfiarono.

Intanto i Turchi nel loro avanzare non diedero importanza alle sei galeazze schierate in avanti alla flotta delle Galee cristiane credendole solo delle lente navi da carico e si accinsero a superarle. Ma quando furono al loro traverso una scarica di cannoni li investì affondando molti legni Turchi e gettando gli equipaggi degli altri nel panico. Alì Pascià, comunque spronò la sua flotta in avanti, sia per evitare un'ulteriore scarica sia perchè la flotta nemica, complice il cambio di vento, avanzava rapidamente.
Giovanni d'Austria puntò diritto contro la Sultana. I fanti di Sardegna imbarcati sull'ammiraglia diedero l'arrembaggio alla nave turca che divenne il campo di battaglia. I turchi a poppa e i cristiani a prua. Al terzo assalto i sardi arrivarono a poppa. Giovanni venne ferito ad una gamba. Mehmet Alì Pascià venne colpito da un colpo di archibugio. Cadde di sotto fra i rematori, ai quali non sembrò vero e subito gli spiccarono la testa impalandola su un'asta e mettendola ben in vista. La Sultana si arrese. Alle due del pomeriggio Giovanni poté riprendere il controllo della flotta.
Intanto Muhammad Saulak era riuscito ad aggirare il fianco sinistro della flotta cristiana. Agostino Barbarigo fu attaccato da otto galee turche contemporaneamente. Barbarigo, ferito ad un occhio da una freccia, dovette cedere il comando a Federico Nani. Sei galee veneziane furono affondate. Muhammad Saulak stava per prevalere. Ma improvvisamente i rematori cristiani si sollevarono dai banchi di schiavitù e con le catene si gettarono sulle scimitarre dei loro aguzzini. I veneziani ripresero il sopravvento. Muhammad Saulak venne ucciso.

All'ala destra Uluj Alì e Gian Andrea Doria manovravano per trovarsi in posizione di vantaggio. Alessandro Farnese con i suoi 200 uomini conquistò una galea turca. Diego di Urbino, comandante della Marquesa, ordinò a Miguel Cervantes di aggirare una galea con una scialuppa. Cervantes fu ferito due volte, al petto e alla mano.

Sia il Doria che Uluj Alì, prima della battaglia, avevano tentato di dissuadere i loro comandanti dal dare battaglia. Nessuno dei due voleva mettere a rischio le proprie navi. Uluj Alì manovrò per aggirare l'ala destra dello schieramento. Doria spostò le sue galee verso destra per fermare i Turchi, lasciando aperto un varco tra il centro e l'ala destra. Giovanni ordinò al Doria di ricompattare lo schieramento, ma Uluj Alì fu veloce a infilarsi nel varco improvvisamente apertosi con le sue galee corsare.
Uluj Alì, con il vento in poppa, aggredì da dietro la Capitana, la nave ammiraglia dei Cavalieri di Malta, al cui comando era Pietro Giustiniani, priore dell'Ordine. I Gerosolimitani erano presenti con tre galere ma numerosi Cavalieri combattevano sulle navi spagnole, pontificie, siciliane e toscane. La Capitana di Pietro Giustiniani venne circondata da sette galee. Uluj Alì catturò il vessillo dei Cavalieri di Malta, fece prigioniero Giustiniani, che era stato ferito sette volte, e prese a rimorchio la Capitana.
L'ammiraglio Santa Cruz intervenne con la retroguardia. Il capitano Ojeda, al comando della galea Guzmana, raggiunse la Capitana, l'abbordò e la riconquistò. Uluj Alì fu costretto ad abbandonare la preda. Con una quindicina di galee e di galeotte fuggì, si nascose nelle isole dei dintorni, si impadronì di una lenta galea veneziana, la Bua, e si diresse verso Costantinopoli.
Alle 4 del pomeriggio i Turchi erano stati completamente sconfitti. I pochi superstiti si ritirarono verso l'interno del golfo.

Le perdite dei Turchi
80 galee turche furono affondate. 117 furono catturate. 27 galeotte furono affondate e 13 catturate.
I Turchi persero 30.000 uomini tra morti e feriti. Altri 8.000 furono fatti prigionieri.
Vennero liberati 15.000 cristiani che erano stati ridotti in schiavitù e incatenati ai banchi delle galee.
Le perdite della Lega Santa
I cristiani persero 15 galee, ebbero 7.650 morti e 7.780 feriti.


 

Quali conseguenze ebbe la battaglia di Lepanto
In realtà bisognerebbe domandarsi, per capire la portata dell'avvenimento, cosa sarebbe successo se la vittoria non ci fosse stata o, peggio, se ci fosse stata una sconfitta. Non solo tutte le posizioni veneziane nei mari Egeo, Ionio e Adriatico sarebbero cadute, ma la stessa intera Italia, forse anche la Spagna, sarebbero state alla mercé dei turchi. Allora comprenderemo la gioia dei popoli cristiani l'entusiasmo dei veneziani all'arrivo della notizia, i festeggiamenti fatti un po' dappertutto. Il Papa, quando ricevette dal nunzio veneziano la notizia della vittoria, proruppe in lacrime e ripeté le parole della Scrittura: "fuit homo missus a Deo cui nomen erat Johannes". Il re Filippo II stava assistendo ai vespri nella cappella del suo palazzo quando entrò l'ambasciatore veneziano, proprio mentre veniva intonato il Magnificat, gridando Vittoria! Vittoria!. Ma il re non volle che si interrompesse la sacra funzione. Solo al termine fece leggere il dispaccio e intonare il Te Deum. Segno che si manteneva il senso della esatta gerarchia della storia in una buona prospettiva cattolica. Certamente, la vittoria era stata ottenuta grazie a "la intelligentissima prudentia de i nostri generali, la bravura e destrezza de i capitani in mandare ad effetto, il valore de' gentiluomini e soldati nell'essequire". Ma, più ancora, a ben altre forze, secondo la bella espressione del senato veneto: "Non virtus, non arma, non duces, sed Maria Rosarii victores nos fecit", "non il valore, non le armi, non i condottieri ma la Madonna del Rosario ci ha fatto vincitori". Del resto, la vittoria di Lepanto era avvenuta nel giorno in cui le confraternite del Rosario facevano tradizionalmente particolari devozioni.
Pio V stabilì che il 7 ottobre fosse un giorno festivo consacrato a S. Maria delle Vittorie.
Gregorio XIII trasferì la festa alla prima domenica del mese di ottobre con il nome di Madonna del Rosario.

Perché queste pagine.
Sicuramente, per prima arriva la passione di chi scrive per tutti gli eventi storici, specie se avvenuti in mare.
Poi, perché oltre a ricorrere in questi giorni il 435° anniversario della battaglia, i luoghi dove si svolsero quegli avvenimenti sono gli stessi che da anni in estate ci hanno visti in navigazione.

I luoghi:
La battaglia si svolse non davanti a Lepanto, ma a ovest dei Piccoli Dardanelli (Rion e Anti-Rion), occupando tutto il tratto di mare che va dall'isola di Oxia alle spiagge di Mesolongi. La Battaglia di Lepanto si chiama anche la Battaglia delle Curzolari (isole Dragonere).
Il " Miracoloso" improvviso cambio di vento ? il Maestrale! quel benedetto (é il caso di dirlo) Maestrale che tutti i pomeriggi da quelle parti ci rende "bagnata" la navigazione!!

Virginio Gandini, 8 Ottobre 2006

La ricerca dei testi e degli avvenimenti è stata effettuata su diversi siti fra cui Reti Medievali, il Caffaro e dal libro di Arrigo Petacco: La croce e la mezzaluna edizioni Mondadori.

Il contributo:
Alla battaglia di Lepanto parteciparono anche i cittadini di Spelonga (frazione di Arquata del Tronto - AP) i quali strapparono e riportarono l bandiera Turca in segno di Vittoria! Tale bandiera è ancora custodita nella chiesa di Spelogna, ed ogni 3 anni viene rievocata la Battaglia tramite una lunga tradizione, per maggiori info visitare: www.spelonga.it

 

 

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